Dopo tre o quattro birre, iniziai a straparlare.

«Ma secondo te...», iniziai, rivolgendomi a Cristina con voce tentennante. «... secondo te, dov'è che ho sbagliato io? Cioè...»

«In che senso?», mi chiese lei, visibilmente alticcia.

«... no, voglio dire, ogni tanto ho l'impressione che se le cose non mi vanno poi così bene, la colpa magari è mia, ma boh? non riesco a capire dov'è che sbaglio.»

«Magari ti dovevi fermare alla seconda birra, che dici?»

«Vedi che sto parlando seriamente!», l'interruppi bruscamente. «Cioè, voglio dire, se sei la mia migliore amica cerca di ascoltarmi e darmi qualche consiglio, perché mi sento come smarrito nel bosco in questo momento.»

In quel momento mi aspettavo che mi accarezzasse dicendomi qualcosa di ironico del tipo "povero bambino!", e invece mi guardava con sguardo serio e leggermente preoccupato.

«Che c'è?», domandai.

«Niente, sto aspettando che tu mi dica cosa c'è che non va».

«Non so cosa c'è che non va», risposi.

«Ecco, vedi? È come dico io, sei troppo passivo.», iniziò a rimbeccarmi. «Non fai che lamentarti che l'approccio con il gentil sesso non ti soddisfa e vorresti cambiare, poi dici che ti vai bene così come sei, e alla fine non concludi niente».

«Non stavo parlando di...»

«Fammi finire!», continuò con tono leggermente alterato. «Puoi ripetere la filastrocca fino all'infinito: che le ragazze moderne non ti interessano, che sono troppo banali, che stai bene così come stai, ma io lo so che non è così!»

«Dove vuoi arrivare?»

«Sei triste! Come hai detto prima, hai lo sguardo di un bambino impaurito smarrito nel bosco, ma che si vergogna di piangere per chiamare la mamma. Continui a dire che bisogna essere se stessi, ma la verità è che indossi anche tu una maschera».

«Ascolta...», provai a tagliar corto.

«No, tu non mi ammutolisci tanto facilmente!», continuò, notevolmente irritata. In quel momento mi resi conto che la cosa migliore fosse lasciarla finire di parlare. «Porti una maschera. Quando sorridi, quando andiamo alle feste, ti fai le foto con la faccia da scemo... mah! Io ti conosco da quattro anni e so che non sei quello».

«E chi sarei, secondo te?»

«Sta a te scoprirlo! È la tua vita, devi iniziare a prenderla in mano. Ma non illuderti che alla tua prossima lagna io starò lì ad ascoltarti come una cretina! Sappi solo una cosa: non c'è nulla di male ad indossare una maschera, il mondo è fatto così, l'importante è che il vero David esca fuori quando deve. Ma io il vero David non riesco a vederlo, e la colpa è soltanto tua!»

«Non mi piace quella frase. Non dirla più!»

«Quale frase?», domandò.

«Che la colpa è mia. Io non ho nessuna colpa di niente. Non ho chiesto io tutto questo. Se sono diverso dagli altri è perché mi è capitato, e poi.... boh, che ne so? Come siamo finiti a parlare di questo?».

Ci guardammo per un attimo e dopo un po' provammo a schiarire lo sguardo per cercare di capire dove stessimo. Ah sì, nel pub. Oddio, quanto abbiamo bevuto quella sera!

Provai ad alzarmi per andare in bagno ma a malapena mi reggevo in piedi. Per fortuna Cristina riusciva almeno a camminare e mi aggrappai a lei. Mi accompagnò a casa e dal portone in poi riuscii a cavarmela da solo.

Ma quanto ho bevuto stasera?, mi domandai in uno dei rari sprazzi di lucidità.

È uguale, tanto non ti servirà!

La mattina dopo mi svegliai con la testa ancora dolorante. Non avevo mai retto l'alcool molto bene in vita mia, e infatti quella mattina iniziai a pagarne seriamente le conseguenze. Per fortuna la lezione non sarebbe iniziata prima delle 12:00.

Andai in bagno per cercare di conferirmi un aspetto leggermente più umano e, dopo essermi stropicciato gli occhi con le mani ancora non lavate, mi provai a guardare allo specchio e accanto al mio riflesso c'eri ancora tu. Non avevo ancora capito chi fossi e cosa volessi da me, ma non ero più disposto a tollerare ulteriormente la tua presenza giudicante e farmi guardare in cagnesco senza motivo.

«Ma chi sei? Cosa vuoi da me?», ti chiesi a voce alta, guardandoti nel riflesso dello specchio. Avevi una camicia da notte bianca e i tuoi occhi presentavano ancora tracce di trucco. Dio mio, eri così reale!

«Perché non parli?»

Non posso parlare perché non ho voce, sembrava voler dire il tuo sguardo. Tu non mi hai dato voce.

«Ma cosa ti ho fatto?», ti chiesi, sempre a voce alta.

Niente. Non hai mai fatto niente.

Pausa

È questo il problema?, mi chiesi nella mente. Che non ho fatto niente?

Sì.

RitrovartiWhere stories live. Discover now