Capitolo 8.

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Cesare si svegliò di soprassalto, una strana sensazione al petto. Prese il telefono in mano e guardò la schermata: erano le dieci, ma non aveva ricevuto nessun messaggio.

Dopotutto si sarebbe dovuto trovare allo studio di Space Valley alle undici, era in anticipo.
Strano però che Chiara non gli avesse ancora scritto, o forse era tutto nella sua testa.

Probabilmente aveva fatto un incubo per svegliarsi così all'improvviso, ma non ricordava cosa avesse sognato.

Sicuro era qualcosa legato a Chiara, visto che il primo pensiero era andato a lei.

Decise di mandarle un messaggio, un semplice buongiorno con un cuore subito dopo, poi si alzò per fare colazione, mentre il suo di cuore si calmava e la sua mente gli riproponeva le immagini del bacio della sera precedente.

Riuscì quasi a sentire ancora l'odore di lavanda di lei da quanto quel ricordo fosse intenso ed indelebile nella sua memoria.

Sorrise appena e, appena finì di fare colazione e lavare la sua tazza ricontrollò il telefono, il velo di inquietudine non abbandonato.

"Ultimo accesso alle 6:00".

Erano tornati a casa alle 4, possibile che fosse rimasta sveglia così tanto?

Qualcosa, il suo inconscio forse, non lo lasciava tranquillo. Decise di vestirsi velocemente e fare un salto a casa di Chiara prima di andare in studio.
Dopotutto la sera precedente era stata ricca di emozioni, sia belle per il bacio, ma anche brutte per il quasi incidente.
Cesare era certo che quel fatto avesse segnato la ragazza.

Non l'aveva mai vista così terrorizzata e allo stesso tempo determinata: mai si sarebbe aspettato che fosse lei a prendere l'iniziativa per il loro primo bacio.

Che fosse stata data dall'adrenalina?
O forse da qualcosa di più profondo?
Non aveva risposte al momento.

Si mise in spalle lo zaino, accarezzò Chewbe e prese il casco nero della moto, uscendo di casa.

Stranamente non ci mise molto ad arrivare: il traffico quel giorno era molto scorrevole.
Parcheggiò la moto sotto al portone di casa di Chiara, come la sera precedente, poi citofonò.

Nessuno rispose.
Riprovò.
Nessuna risposta.

Si spostò leggermente all'indietro per vedere se le tapparelle del balcone di Chiara fossero aperte, ma da lì sotto non riusciva a visualizzarle bene, essendo al quarto piano.

Sospirò e si appoggiò alla porta, un po' agitato.

Qualcosa dentro di lui non lo lasciava tranquillo: Chiara era come un animale spaventato, lo sapeva.

Una parte di lui temeva che quel bacio l'avesse terrorizzata.

Poi la porta alle sue spalle di aprì ed uscì un signore sulla quarantina, vestito in giacca e cravatta, con una valigetta quarantott'ore in mano. Non gli lasciò neanche uno sguardo e si avviò a passo svelto verso la sua auto.

Cesare colse l'occasione ed entrò nel palazzo: doveva togliersi ogni dubbio.

L'ascensore era occupato, così iniziò a salire le scale, facendo gli scalini a due a due, di corsa, il  cuore a mille, sia per lo sforzo fisico che per l'ansia che ad ogni piano che superava, aumentava.

Poi arrivò al quarto piano e si fermò nell'atrio, guardando quella porta, diversa dal solito.
Non appena visualizzò su di essa un bigliettino bianco appiccicato sopra, il suo cuore si fermò.

Tre passi lo separavano da quel foglietto, tre passi che Cesare fece con grande fatica, a differenza dei gradini appena percorsi.

Oramai era certo: qualcosa non andava.

Lettere quasi mancateWhere stories live. Discover now