Capitolo 11.

394 37 12
                                    

Il treno macinava chilometri sotto il suo sguardo, mentre la campagna verde piemontese scorreva veloce.

Cesare appoggiò la testa contro il finestrino, mentre nelle sue cuffie New York dei Snow Patrol era al massimo volume.

"If you were here beside me, instead of in New York
If the curve of you was curved on me
I'd tell you that I loved you, before I even knew you
'Cause I loved the simple thought of you
If our hearts are never broken and there's no joy in the mending
There's so much this hurt can teach us both,
And there's distance and there's silence, your words have never left me,
They're the prayer that I say every day"

Si stupiva sempre del fatto che riuscisse a trovare la canzone perfetta per ogni momento della sua vita.

Se solo Chiara non fosse partita, avrebbero potuto iniziare un nuovo percorso insieme.

Allo stesso tempo però, come diceva la canzone, quel dolore, che entrambi avevano provato, gli aveva sicuramente insegnato qualcosa.
Erano cresciuti, erano persone diverse.
Chiara era, come lei gli aveva ripetuto più volte, diversa da prima che quel misterioso dolore la colpisse, così come Cesare era diverso da quando l'aveva incontrata.
Perché lei era stata gioia e dolore allo stesso tempo, e lui ormai aveva capito che questo non era qualcosa di negativo.

Il dolore faceva crescere, il dolore obbligava, forse con crudezza, a vedere le loro vite per quelle che erano, li aiutava a migliorare, a rialzarsi, a cambiare.

"The lone neon lights and the ache of the ocean,
And the fire that was starting to spark
I miss it all from the love to the lightning
And the lack of it snaps me in two
Just give me a sign, there's an end with a beginning
To the quiet chaos driving me back
The lone neon lights and the warmth of the ocean
And the fire that was starting to go out"

Erano passate solo due settimane, eppure, di Chiara, gli mancava ogni cosa.
Per questo non ci aveva pensato due volte a salire su quel treno, quella mattina stessa di inizio Marzo.
Ormai era quasi arrivato; l'ansia e la voglia di vederla lo stavano attanagliando.

Chiuse Spotify e arrotolò con cura le cuffie, mentre l'autoparlante del treno annunciava con la solita voce metallica pre registrata: "Prossima fermata, Torino".

Cesare si alzò, con una strana calma che pervadeva il corpo, ma non lo spirito, e tirò giù, dallo scomparto sopra il suo sedile, il suo zaino verde e arancio della North Face.

Se lo caricò in spalla, mentre il suo cuore iniziava a battere all'impazzata e sentiva il treno rallentare, ormai prossimo alla stazione.

Si spostò verso la porta scorrevole più vicina, insieme a tutte le persone rimasta sul treno: Torino era capolinea.

Davanti a lui un signore sulla cinquantina in giacca e cravatta controllava l'orologio.

Si, il treno era stranamente in orario: erano le 10:05 del 2 Marzo.
Si fermarono improvvisamente tutti: il treno, il cinquantenne davanti a lui e lui stesso, ma non il suo cuore.

Quello continuava a correre, come se volesse uscire da quel treno, ansioso di raggiungere qualcosa.

O qualcuno.

Le porte si aprirono e ogni rumore fu ovattato.
Il signore in giacca e cravatta raccolse da terra la sua valigetta ventiquattr'ore e scese, un gradino alla volta.

Fu il suo turno.
Respirò.
Mise la gamba destra sul primo scalino.
La sinistra sul secondo.
Gli occhi chiusi, nessun suono intorno a lui, come se stesse sbarcando su un altro pianeta.

Lettere quasi mancateWhere stories live. Discover now