Capitolo 10.

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La mattina successiva Cesare si svegliò con calma, la luce del sole che entrava dal lucernario.

Le lenzuola del letto di Chiara rilasciavano quel profumo di lavanda che lui tanto amava e che gli ricordava lei.
Inspirò a pieni polmoni prima ancora di aprire gli occhi.

Spostò la mano sinistra, cercando la ragazza nel letto.

Affianco a lui però, solo lenzuola morbide e soffici.
Spostò ancora la mano, questa volta un po' più in là, ma ancora nulla, solo vuoto.

Aprí gli occhi di scatto, una sensazione orribile che gli saliva nel petto, andando a sostituire la pace che aveva per poco invaso il suo cuore.

Quando vide il letto vuoto, il suo cuore si fermò.
Non c'era bisogno che scendesse dal soppalco per controllare il salotto o il balcone, era certo che Chiara fosse sparita, come era successo dopo il loro primo bacio.
Eppure, lo fece ugualmente.
Scese le scale di corsa, ma il monolocale era tutto lì, vuoto sotto i suoi occhi.
Spalancò le finestre del balcone e, trovando anche questo vuoto, entrò in bagno di corsa, ma niente; di Chiara neanche l'ombra.

Era sparita anche Nala.

Si lasciò cadere su una sedia del salotto, appoggiando sconfitto la testa sul tavolo.

Chiara era scappata, ancora.
Non era rimasta per lui, ne per quello che entrambi provavano.
Ancora una volta i suoi demoni l'avevano spinta a fuggire, a non desiderare la felicità.

Una lacrima solitaria cadde dagli occhi verdi, ormai lucidi, di Cesare.

Se solo avesse creduto un po' di più in lui, in se stessa, in loro.

Forse non sarebbe fuggita, forse sarebbe rimasta, forse non l'avrebbero lasciato solo.
Forse.
Forse.

Cesare tirò un pugno sul tavolo, con forza.
Aveva mille domande e nessuna risposta.

Perché era fuggita così?
Perché non si era aperta del tutto con lui?
Perché non poteva essere più semplice?
Perché sembravano non essere destinati al lieto fine?

Perché?

Alzò lo sguardo, deciso ad andarsene da quella casa che ormai lo opprimeva, che non gli riempiva più il cuore di gioia ma di una grande tristezza, quando lo vide.

Al centro del tavolo c'era un bigliettino scritto con una calligrafia tutta ghirigori e sopra ad esso un mazzo di chiavi.

Lo prese in mano e lesse velocemente.

"Un'arancia sulla tavola
Il tuo vestito sul tappeto
E nel mio letto tu
Dolce presente del presente
Freschezza della notte
Calore della mia vita
- Alicante, Jacques Prévert"

Lo girò, ma niente era scritto sul retro, solo quella poesia.

Chiuse gli occhi e immaginò Chiara, il foglio in mano e la penna nera, intenta a scrivere quelle parole mentre lo guardava dormire, prima di andarsene chissà dove, ma sicuramente lontana da lui.

Prese le chiavi e le strinse forte, facendosi male, sperando di potersi svegliare da quell'incubo.

Ma il monolocale rimase a lungo silenzioso, mentre il biglietto tra le sue mani si cospargeva di piccole lacrime.

*

Le birre sbatterono tra loro, facendo risuonare il rumore di vetro nella notte.

Cesare portò la sua alla bocca, seduto sul parapetto di San Michele in Bosco mentre guardava la sua Bologna sotto un cielo senza luna.

Non era solo la luna a mancare però.

Lettere quasi mancateWhere stories live. Discover now