15. Tassidermia delle fiamme spente

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"Temo i tuoi baci, dolce fanciulla
ma tu non devi temere i miei."
Percy Bysshe Shelley


Il vecchio obitorio ormai in disuso tanfa di chiuso e di muffa, anche se Lazar ha aperto la finestra per cambiare aria. All'esterno il vento sibila lugubre e inquieto fra i rami degli alberi spogliati dall'inverno, e per evitare che l'atmosfera risulti troppo angosciante, ha portato giù il cellulare e ha avviato una playlist in riproduzione casuale, riempiendo le pareti col suono delle chitarre distorte, della batteria ritmica.

Il tavolo al centro, di freddo acciaio, è resistente e gelido, lungo quanto una sagoma umana potrebbe esserlo; prima ospitava cadaveri di persone ora estinte, ma è diventato il ripiano su cui appoggia i suoi animaletti. Attaccata sopra il tavolo c'è una grossa lampadina che illumina alla perfezione ogni cosa, proiettando una luce bianca quanto una feroce simulazione del paradiso.

Raggiunge l'angolo della stanza, dove c'è un piccolo congelatore, dalle dimensioni appena sufficienti a ospitare un paio di animali di taglia piccola, e tira fuori un gatto immobile, freddo e spappolato, lasciandolo sul bancone.

Segue uno dei momenti più impegnativi: deve pensare al calco in gesso, una sagoma dalla forma dell'animale che in seguito viene ricoperta con la pelle dello stesso – svuotata dagli organi interni, pulita dal sangue. Mescola il gesso con l'acqua, poi riempie il calco – non essendo un grande artista, lo ha comprato già pronto per alcuni tipi di animali, fra cui i gatti, poiché di frequente si fanno investire e ridurre in poltiglia dalle auto in corsa sulla strada.

Una volta pensato al gesso, arriva una delle parti che più lo divertono, sebbene sia anche il momento più inquietante. Deve inseguire con il bisturi affilato l'addome del gatto e rimuovergli la pelle come se fosse soltanto un vestito inutile da eliminargli di dosso. È un processo delicato e che deve fare con cura, attento a non rovinare troppo il suo rivestimento di pelo, perché poi il risultato apparirà meno uniforme e perfetto. Ormai ha abbastanza esperienza con quella fase, e ci riesce dopo nemmeno troppo tempo. La musica continua a riprodursi e a coprire i rumori del vento che tortura le imposte. E poi, quando l'animale è già ridotto in una viscida massa di organi interni fuoriusciti, non c'è molto che si possa fare per renderlo grazioso. 

Non sa come verrà fuori a lavoro finito. 

Tuttavia, terminato il lavoro sul corpo si passa alla testa, la parte più delicata in assoluto; bisogna svuotarla di qualunque cosa possa andare in putrefazione: gli occhi, il cervello, ogni residuo di carne, perfino il più piccolo. Impiega parecchio tempo dietro a quel cranio, attento a pulirlo con precisione, senza avvertire alcun fastidio – pur consapevole che chiunque di fronte a quella scena la troverebbe raccapricciante. Ma il punto è che non sta uccidendo nessuno, l'animale era già morto, e Lazar non metterebbe mai fine a una vita, non ha tale arroganza da pensare di poter governare le leggi della morte, non ruberebbe mai una vittima alla preziosa e scintillante falce del mietitore. 

Non è il suo lavoro. 

Semmai, ama prendersi cura dei corpi abbandonati a se stessi, svuotati perfino dall'anima. Ama occuparsi di quegli involucri e fare in modo che vengano ricordati – non ha importanza come, se tramite l'arte della tassidermia e dunque dell'imbalsamazione dei corpi, o grazie a un funerale che resterà nelle memorie di chi ha circondato quella vita umana e ne preserverà l'amore e i ricordi.

Dopo quelle azioni cruente, deve conservare la pelle. Si fa con il sale, cospargendola e lasciandola a riposare per una notte, poi ripulendola e ripetendo quel processo. 

E così ci lavora per un po', fra un impegno e l'altro in agenzia, fra sua madre che lo riempie di stress e Deya che lo chiama ogni cinque minuti.

Dopo può rivestire la forma. Viene riempita di carta di giornale nei punti più piccoli, a emulare i muscoli assenti, e il gesso ora è rivestito dalla pelle, rovinata in più punti e dunque ricucita con attenzione, con ago e filo. 

Fame di maleUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum