17. Spettrofilia

220 49 90
                                    

"La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé."
Oscar Wilde


L'alcool è un dolce veleno; culla la mente, regala carezze di oblio e tenebra.

Deya ha bevuto così tanto da perdere il senso del tempo, della festa. Ha smarrito perfino la realtà.

Ora, stesa sul letto, gli occhi chiusi, il corpo nudo, sente il freddo pizzicarle la pelle. La finestra è aperta, e lo sente perché gli spifferi continuano a filtrare oltre le tende e i vetri, a penetrare fra le pareti e a cristallizzarsi sul corpo inerme e spoglio di vestiti, ricoperto da scaglie di brividi sulle braccia, sulle cosce bianche e sottili, sull'addome piatto.

La testa sembra essere sul punto di esplodere. Le tempie pulsano di dolore sordo, e quella è l'ennesima mattina in cui si sveglia senza ricordare niente della notte precedente.

Però rimembra la musica a volume alto, l'alcool ingerito – testimone la bottiglia ormai vuota di vodka alla fragola abbandonata sul comodino, a fianco alla lampada dipinta di rosa e di ocra.

L'essere umano è alla costante ricerca di un combustibile che scateni il desiderio, che alimenti la passione di una vita morente.

A quanto pare si è concessa alla lussuria, peccato che non abbia la più pallida idea di cosa sia accaduto prima di sprofondare in un sonno privo di sogni – e, per fortuna, vuoto di incubi.

Riesce a vedere la finestra aperta e perfino il comodino sormontato dal disordine e dai bicchieri vuoti e sporchi, non riesce a muovere il corpo e neanche il collo per guardare a destra e sinistra. 

È come se vedesse tutto con lo sguardo della psiche, e non sembra avere alcun senso.

Una luce filtra nella stanza, le pesa sul corpo; uno spettro inconsistente, invisibile, un'essenza ineccepibile, ma che ora le sfiora la pelle, e Deya non può fare niente per sottrarsi, anche se si sente violata, osservata, toccata da un'entità che non dovrebbe avere quel potere. 

Immobile e terrorizzata, costretta a subire una violenza invisibile, si ripete che è solo un brutto sogno, non si è ancora svegliata del tutto.

La fase REM, a volte, fa strani scherzi, e quello è il caso. Il corpo paralizzato, le pupille non sono in grado di vedere oltre le palpebre chiuse. 

La realtà che sfuma in un incubo, il velo che divide i due mondi ora tranciato con un paio di forbici, rotto, disintegrato fino a fondere esseri umani di carne e sangue e fantasmi brillanti d'argento e nulla, nebulose sagome senza forma.

Poi, qualcuno bussa alla porta, e spera con tutta se stessa di averla chiusa a chiave.

Colpi ripetuti contro il legno, e nessuna risposta riesce ad abbandonarle le labbra atrofizzate, aride come il deserto.

Lo sforzo che il suo corpo richiede è immenso, ma alla fine, dopo svariati tentativi di svegliarsi del tutto e di muoversi, le retine vengono ferite da tagli di luce.

La finestra è socchiusa, gli spifferi filtrano davvero dentro e congelano l'aria. Il suo fiato si cristallizza in nuvolette bollenti, si tira su avvolgendosi la coperta intorno al corpo, con la gola che urla per il dolore e la mente sofferente.

Cerca i suoi vestiti in giro per la stanza, e li trova ai piedi del letto. Infila le mutandine alla svelta, poi una grossa felpa e per completare cerca dei pantaloni puliti nell'armadio. Aveva solo i calzini, e ora è pronta, anche se ha i capelli in disordine pieni di nodi e due occhiaie gonfie e violacee come prugne mature posizionate sotto le ciglia inferiori.

Fame di maleWhere stories live. Discover now