Capitolo XVII

8.7K 377 300
                                    

Gocce d'acqua cadono da una piccola fessura nel soffitto e si schiantano in una bacinella piena d'acqua, producendo un rumore ipnotico all'interno della stanza con le pareti grigie nella quale mi sono risvegliata. Ricordo tutto, tranne come sono arrivata qui. Mi rigiro più volte su una vecchia branda, incapace di riprendere sonno. Cerco questo: un innocuo stordimento che mi permetta di non pensare. Non so nemmeno quantificare con esattezza quante ore siano passate dal mio risveglio o se sia giorno o sia notte: le pareti della stanza sono prive di finestre, solamente una fredda luce al neon illumina i dieci metri quadri di questa camera. L'ambiente è spoglio, arredato soltanto da una branda, una bacinella che raccoglie l'acqua piovana e una scrivania posta al centro.

Mentre mi concentro a seguire con gli occhi il tragitto delle gocce d'acqua che raggiungono il suolo a partire dal soffitto umido, sdraiata su questo dozzinale giaciglio, lo stridere della porta di ferro che si apre mi fa alzare di scatto, allarmata. Abigail fa il suo ingresso, vestita di nero e con un chiodo di pelle. È la prima persona che vedo dopo da quando mi sono svegliata su questo materasso ingiallito.

«Bowls, ti sei ripresa?» ha un tono di voce disinteressato: come se il mio stato di salute fosse solo una cosa da assodare più per cortesia, che per interesse.

«Non saprei. Cos'era quello che avete usato per sedarmi, cloroformio? Mi deve dire lei se c'è o meno da preoccuparsi» la accolgo acida, mettendomi a sedere.

Abigail prende posto su una delle due sedie presenti nella stanza, accomodandosi al tavolo: «Non se la prenda Bowls, è la prassi. Nessuno può vedere dove si trova il Dipartimento»

«È al Dipartimento che ci troviamo?» domando, mentre la mia bocca si spalanca per lo stupore.

Cazzo, sono finita al quartiere generale dei Servizi Segreti.

Abigail mi indica una sedia difronte a lei e m'invita ad accomodarmi. Un po' riluttante, accetto: è la prima volta che abbiamo un confronto verbale e il fatto che finalmente qualcuno sia venuto a parlarmi, unito all'urgenza di capire cosa ne sarà di me, mi spinge ad accettare senza fare storie. Con il piccolo tavolo di plastica che ci divide, la donna comincia finalmente a parlarmi: «Allora, Bolws. Atkins, o forse dovrei dire Connor, mi ha riferito del tuo essere restia a collaborare...»

«Il suo collega le ha riferito bene, Abigail»

«Ispettrice Walls, se non ti dispiace» mi corregge lei.

«Ispettrice Walls» ripeto annoiata: «Per quale motivo dovrei collaborare con lei?»

Non so dove sto trovando il coraggio di essere così sfacciata, dato che la mia posizione non mi permette di esserlo ma poggio entrambi i gomiti sul tavolo e mi sporgo verso di lei.

«Oh mia, cara» ribatte lei, alzando i grandi occhi azzurri al soffitto: «Rispondi semplicemente: vuoi passare i prossimi dieci anni in cella?»

Mi pento immediatamente di aver fatto la sbruffona:

«No» ammetto a voce bassa.

L'immagine di mia sorella Claire, tra dieci anni, chissà come e chissà dove fa crollare tutta l'aura di sicurezza che cercavo di ostentare davanti ad Abigail. Non me lo posso permettere: a differenza di questi agenti e queste spie, io ho ancora qualcosa da perdere.

«Come sospettavo» asserisce sodisfatta: «Mi sembra proprio che tu sia costretta a collaborare Bowls, non hai altra scelta»

Mi stacco dal tavolo e mi abbandono a braccia conserte sulla sedia, abbandonando prematuramente la causa, per perorarne un'altra: «Cosa dovrei fare e cosa ottengo se collaboro?»

OLIVIA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora