Capitolo XXX

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月が綺麗ですね (つきがきれいです
tsuki ga kirei desu ne

|giapponese | traduzione letterale: la luna è bella, non credi?|


Natsume Sōseki fu il primo a tradurre «ti amo» con questa frase. Il romanziere giapponese era convinto che due innamorati non avessero bisogno di esprimere a parole il sentimento reciproco, ma che esso si potesse trasmettere anche con una frase come «la luna è bella, non credi?»




💎

Un formicolio nervoso s'impossessa delle mie dita spingendomi ad abbandonare il tavolo con la banale scusa di andare in bagno. Dirigendomi fuori dalla sala, sento degli sguardi perplessi addosso che contribuiscono ad aumentare le mie palpitazioni. Fortunatamente, l'aria fresca della terrazza all'ultimo piano del grattacielo che ospita l'Artemisia, allenta leggermente la tensione che mi stringe il petto, permettendomi di regolarizzare il respiro.

La luna piena rischiara il cielo nascondendo le stelle e l'East River si estende sotto la linea piatta dell'orizzonte. Frugo nella piccola borsa che mi sono portata dietro, alla ricerca del mio cellulare e digito mnemonicamente il numero che mi mette in contatto con Parigi.

«Pronto?» risponde la voce assonata di Léon.

«Oh, ti ho svegliato?» domando in tono di scuse. Lèon sbadiglia con la voce impastata dal sonno: «Qui sono le quattro del mattino»

«Perdonami e che...non lo so» comincio a farneticare, destandolo immediatamente dal torpore: «Cos'è successo? È lì?»

«Sì è qui»

Il mio ex fidanzato fa una breve pausa, lo stento muoversi di scatto tra le lenzuola del letto: «Ci hai parlato?»

«No, sono fuggita qui in terrazza come una vigliacca»

«Olivia – mi riprende in tono serio – non fare come al tuo solito. Non sai quello che è successo davvero. Lascia che gli altri ti diano le loro spiegazioni prima di giungere a conclusioni affrettate»

Sentirlo usare il mio nome di battesimo mi provoca ancora uno strano effetto, ma va bene così: «Perché sei ancora qui a parlarmi dopo tutto quello che ti ho fatto?» piagnucolo, con la voce ridotta ad un sussurro.

«Non è colpa di nessuno dei due se il tuo cuore appartiene ad un'altra persona»

«Léon, lo sai che ti voglio bene?»

«Anch'io te ne voglio OliviaJo» lo sento ridacchiare per quel nomignolo che mi ha recentemente affibbiato. Di ritorno dalla California ho deciso di parlargli di me. La sua reazione è stata surreale e lontana mille miglia da quella che mi ero ricreata nella mente, tant'è che mi ha portato ad illudermi che Léon fosse la mia persona, confondendo la gratitudine per amore. La cosa assurda è che un po' lo amo davvero: ma è quel tipo di sentimento che si riserva ad una persona cara, non all'amore della propria vita. Troppo debole per giurarselo davanti a Dio, troppo forte per separarmi definitivamente da lui.

Tuttavia, dopo quella telefonata nulla è rimasto lo stesso e sposarlo mi è sembrato un vile atto egoista. Lèon merita qualcuno che lo adori con ogni singola fibra del suo corpo e non quel surrogato dell'amore che ero disparta a dargli io: «Ti chiamo più tardi, okay?»

«Okay» concorda e riattacchiamo la telefonata contemporaneamente.

È finita così tra di noi: tra un "mi faccio viva io" e "prendo le mie cose e mi trasferisco a casa di mio padre" passando per "devi essere sincera con lui riguardo i tuoi sentimenti" e i miei sporadici ed egoistici "torna a casa" seguiti dai suoi più o meno sensati "non ha senso, ma rimaniamo amici"

OLIVIA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora