Capitolo XXVIII

7.4K 315 219
                                    

«Non me ne frega niente, se entro domani mattina non paghi tutte le mensilità arretrate lascerai questa stanza»

Le urla della vedova Flynn, una vecchia americana che gestisce una pensione in questo tremendo sobborgo parigino, rimbombano lungo le scale. Le pareti sono decorate da una orrenda carta parati color malva, sgualcita e strappata in alcuni punti e il gatto della vedova si trova acciambellato sul bancone all'ingresso di questo squallido motel.

La signora Flynn continua ad inveire contro di me dalla cima delle scale mentre la osservo indifferente, poggiata con entrambi i gomiti sul legno del bancone e  una sigaretta tra le labbra.

«Le ho già detto che pagherò tutto e che nel frattempo può usare i soldi della caparra» rispondo calma, mentre prendo un'altra boccata di fumo.

«Questo me lo ha già ripetuto il mese scorso. Cosa crede, che l'anticipo che ha versato basti a coprirla per un anno?» ruggisce la vecchia, trascinandosi claudicante sul retro del bancone.

«E poi, quante volte le ho detto di non fumare qui dentro?» brontola, allungando la mano ossuta verso la sigaretta che stringo tra le labbra. La afferra con un gesto secco e la spegne nell'acqua del vaso dei fiori appassiti che tentano di ravvivare l'ambiente.

«Ma cos–» cerco di protestare, indignata da quel gesto rude.

«Sono seria, Josephine – mi dice con voce ferma – se non mi paghi dovrai veramente andartene»

Mi sporgo verso di lei, facendole gli occhi dolci: «Signora Flynn, non sia così fiscale. Potrei aiutarla con le pulizie, la spesa...quello che vuole. Ma la prego, mi faccia rimanere qui. Non ho altri posti dove andare, lo sa» cerco di convincerla, tentando col vittimismo.

Che poi, tanto vittimismo non è.

Sono a Parigi da sei mesi e non c'è una e dico una cosa che sia andata per il verso giusto. Il costo della vita è troppo elevato e ho finito i risparmi nel giro di poche settimane. Senza una laurea, un titolo valido e la conoscenza perfetta della lingua, poi, trovare un lavoro dignitoso risulta quasi impossibile. Sono andata avanti grazie a lavoretti saltuari e alla clemenza della signora Flynn, ma quest'ultima a quanto pare non sembra voler durare ancora per molto.

«Ma poi non ha detto che le ricordavo la sua nipotina?» aggiungo, sbattendo le ciglia come una bambina innocente.

«Josephine» mi richiama lei: «Non dipende più da me, ho una montagna di bollette da pagare e mio figlio Augustine ha perso il lavoro. Non posso più permettermi di tenere una stanza occupata gratuitamente» si giustifica, mentre negli occhi le aleggia un lieve senso di colpa.

Fuori la notte sta calando e la primavera lascia spazio a un clima mite. Lancio un'occhiata alla strada prima di rivolgermi a lei, rassegnata: «Ha ragione, libererò la stanza adesso. Ho approfittato fin troppo della sua bontà»

Mi allontano dal bancone e inizio a risalire le scale tappezzate dalla moquette polverosa, ignorando la voce della vecchia zoppa che m'implora: «Ma non c'è bisogno di andare via a quest'ora della notte, Josephine! Puoi farlo domattina con la luce del sole»

Mi affaccio alla ringhiera in ferro battuto della scala, guardandola con sufficienza: «Stanotte, domani mattina, cosa cambia?»

Tanto vale cominciare a dormire sotto i ponti sin da subito.

Spalanco con poca grazia la porta della mia stanza, la quale si apre cigolando e acchiappo tutta la mia roba per gettarla alla rinfusa dentro la valigia aperta sul letto. Afferro tutto ciò che ho e mi porto fuori da quel palazzo putrido che, nel bene o nel male, è stato la mia casa negli ultimi mesi.

OLIVIA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora