A4 - Quarto

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Hiro versò delicatamente il the nella tazza di porcellana

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Hiro versò delicatamente il the nella tazza di porcellana. L'aroma fruttato si sparse per tutta la stanza, illuminata dalla fioca luce del sole che entrava dalle enormi finestre. Essa rischiarava il soggiorno, munito di due divani di pelle, un tavolo coperto da un centrino bianco fatto a mano ed una credenza colma di piatti e bicchieri di cristallo.

Erano quasi le sette del mattino. Béatrice doveva essere già sveglia e, se non lo era, lo sarebbe stata entro pochi minuti. Si alzava sempre presto, al fine di avere più tempo per studiare o condurre i suoi esperimenti.

La ragazza adorava trovare la colazione già pronta: pasticcini alla crema ed un buon infuso di frutti di bosco. Il giovane sorrise, mentre riponeva la teiera scottante sul piattino: sapeva che il piccolo gesto di portarle il cibo in camera le avrebbe fatto immenso piacere. A lui piaceva renderla felice; soprattutto per il suo sorriso: quest'ultimo era unico nel suo genere.

Hiro prese il vassoio, sul quale era tutto pronto, e si avviò verso la camera della sua padroncina. Attraversò un corridoio lungo e stretto, dalle pareti tappezzate da quadri: erano gli antenati della potente e ricca famiglia Reverdin, per la quale il maggiordomo lavorava dalla nascita.

Fin da piccolo era stato addestrato ad essere impeccabile: suo padre era il precedente capo della servitù e gli aveva insegnato tutte le tecniche possibili rasenti alla perfezione. Inoltre, era anche parecchio bravo con le arti marziali e con le armi – soprattutto il coltello da lancio. Il suo compito, oltre tenere in ordine e servire la famiglia, era anche quello di proteggere la padroncina con la vita.

Una volta arrivato davanti alla porta della stanza, bussò delicatamente. Non udendo risposta, girò il pomello ed entrò. Era una camera troppo grande per una sola persona. Il letto, posto al centro, era a baldacchino. Un enorme armadio troneggiava davanti alla parete di destra; mentre su quella di sinistra vi era una toletta ed uno specchio a figura intera proprio accanto. Di fronte al giaciglio, c'erano una scrivania di legno e due poltroncine di pelle.

Béatrice era sveglia, appoggiata mollemente alla spalliera. Leggeva un enorme tomo di anatomia, probabilmente sgraffignato dalla biblioteca del padre. I capelli biondi e mossi le ricadevano dolcemente sulle spalle e gli occhi azzurri, vispi, attenti, pieni di vita erano immersi nella lettura.

Gli angoli della bocca di Hiro si sollevarono in alto. — Maitresse, le ho portato la colazione — disse, avvicinandosi al letto.

La giovane alzò lo sguardo e piegò l'angolo superiore della pagina che stava analizzando. Successivamente, chiuse il libro e lo appoggiò sulla sua destra. — Grazie, Irò. — Aspettò che il maggiordomo posasse il vassoio sul comodino e prese la tazza fumante, per poi soffiarci sopra. Inspirò il dolce profumo dei lamponi e ne prese un sorso. Annuì. — Buonissimo. — Bevve un altro po'. — Cosa facciamo oggi?

Hiro si sedette accanto a lei. — Che ne dice se andiamo un po' in giro? Non ha ancora visitato Seoul da quando siamo arrivati.

La famiglia Reverdin si era trasferita due mesi addietro nella capitale coreana per motivi di lavoro. I genitori della giovane erano sempre fuori casa e tornavano tardi; oppure non rincasavano affatto. Béatrice non lo dava a vedere, ma soffriva per questo. Aveva solo quindici anni, necessitava di una figura adulta al suo fianco. Per quanto Hiro cercasse di starle accanto e tenerla occupata, al fine di non farle pesare la mancanza del padre e della madre, non era la stessa cosa.

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