Primo quarto

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Bevo il caffè per affrontare le intemperie del mio cuore. Il suo aroma tostato mi rammenta la terra da dove provengo. Non ricordo il grembo materno, tanto meno quell'involucro chiamato placenta. La terra ospitava il mio corpo; sento ancora i granuli ruvidi esfoliare la mia pelle con succulenta maestria. I miei amici vermi mi aiutavano a superare qualsiasi momento. Mi nutrivano e mi accarezzavano dolcemente. Mi facevano anche il solletico ...

Tutto ciò appare dinanzi i miei occhi ogni volta che assaporo questa splendida bevanda. E poi essa mi parla, mi ascolta e mi palesa ogni lato macero del mio cervello.

Il presente e il futuro si rivelano come macchie nella tazza, dovrei solo escogitare un modo per non rovesciarla sul tavolo, perché mi infastidisce pulire spesso. Continuo a bere, a dismisura, non riesco a fermarmi. È sempre proiettato nel presente il futuro codardo, appare ricordando la nullità dell'essere incompreso. Come fare allora per sfuggire a questa assurdità? Inchinarsi al volere divino è da codardi. Combattere è da sciocchi. Assecondare potrebbe essere astuto, ma la consapevolezza uccide ogni gesto portando l'uomo ad astenersi. Mi astengo allora, il futuro brulica bruciato e le fiamme ardenti avvampano il tavolo e la mia dimora.

Tutto brucia all'unisono cuore d'acciaio, tutto brucia in modo ritmico e illusorio. È un romanticismo caotico e conturbante, come un mazzo di fiori splendido che si rovescia dal vaso con eleganza disperata e mortuaria. Le sensazioni si propagano calde, ustionano l'aria che infida si espande. Poche luci atterrano serene evitando lo schianto e un grande botto.

Oltre la porta della cucina in fiamme osservo seduto in preda ad un enorme calore un cimitero che si mostra quieto. Le tende scottano di fumi deliziosi; mi avventuro per le vie di una nuova coscienza.

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