Novantadue anni di vita

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Dopo novantadue anni di vita arriva un momento, disteso su un letto d'ospedale, in cui inizi a tirare le somme e a valutare tutto ciò che hai fatto: qualsiasi azione, pensiero o rimpianto.
Un momento nel quale passi al setaccio la tua intera esistenza prima che la vita ti tradisca privandoti della memoria, della tua identità temporale, lasciandoti in un limbo di confusione.

Inizi a perdonarti entrando in uno stato di pace con il tuo essere, affini il legame tra di voi per non arrivare impreparato all'esame più importante: quello con l'Altissimo.

Non posso definirmi una persona sfortunata, anzi, molto spesso la vita mi ha regalato momenti di gioia intensa come la vittoria del primo ed unico Super Bowl dei New York Giants, o come veder nascere e crescere mio figlio Andrew.

Ma come qualsiasi altra vita, anche la mia ha conosciuto momenti negativi, si è sporcata di gesti e parole che sembravano giusti in quel momento e che hanno inciso, anche se in minima parte, sul mio lungo cammino che dura da ormai novantadue anni.

Ho pagato per ogni mio errore, per ogni mio sbaglio, avendo a volte la sensazione che la punizione che la vita mi stesse infliggendo fosse eccessiva. Una costante sensazione che qualcuno o qualcosa da qualche parte nella volta celeste mi stesse punendo per il semplice fatto che vivessi.

Sensazione che il 4 febbraio 1978 abbandonò la mia mente lasciando il posto ad un incessante senso di colpa e di paura, una sensazione così forte e sgradevole da non permettermi neanche di specchiarmi senza provare dolore e sdegno per il genere di persona che avevo sempre criticato e che da allora vedo ogni giorno riflessa.

La vita però ha diversi modi per riscuotere ciò che è suo, ha infinite vie per risistemare gli equilibri che vengono spostati dalle cattive azioni, essa infatti, come un fiscale strozzino ti prosciuga fino a quando il tuo debito con lei non è del tutto estinto.

Possono volerci pochi secondi così come secoli, non esiste una durata specifica, tutto è soggettivo ed è questo che aumenta l'agonia; io ad esempio, dopo quarantanni sono ancora qui a pagare; forse è per questo che la morte non mi ha ancora accolto tra le sue fredde braccia, perché la vita non ha ancora finito con me. Il mio debito è maggiore di quello che immaginavo.

La macchia più grande sul libro bianco della mia vita è sicuramente l'omicidio di Sage Kane, una ricca donna sulla sessantina, deceduta a New York il 4 febbraio 1978, esattamente trent'anni e un giorno prima della vittoria dei New York Giants, che strana la vita.

Un caso, quello della morte di miss Kane, ancora non del tutto risolto e che mandò in carcere un uomo innocente.

Quest'uomo, Erik Sultry, è il mio rimpianto più grande. Il suo ricordo ogni notte torna a tormentarmi, arriva insieme alle lacrime e al mio rimorso riducendo a zero le possibilità di addormentarmi. Forse è questo il seme della mia malattia, dormire fa bene e fa star bene, e io non lo faccio da ormai quarantanni.

MisSageWhere stories live. Discover now