Uno

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«Sei lo sceriffo?»

«Sono io. Tu chi sei?»

«Ha preso Jenny... L'ha portata via, nel bosco, alla torretta.»

«Chi l'ha presa?»

«L'ha presa... E poi verrà a prendere anche me. Ho paura, sceriffo.»

«Tesoro, c'è la tua mamma, lì?»

E poi il silenzio. Il silenzio.

***

Diluvia.

Come se una normale pioggia non fosse sufficiente.

Diluvia nell'oscurità, secchiate d'acqua che i rami ormai spogli della faggeta non riescono a schermare. Alla luce blanda della mia torcia elettrica – luce che gronda e trema – il bosco non sembra altro che una folta distesa di filo spinato.

Sono bagnato fino al midollo, nonostante l'impermeabile e gli stivali alti da pesca. I miei passi annegano in un disgustoso miscuglio di foglie e fango.

La torretta, la torretta.

Ho dovuto lasciare il sentiero mezzo miglio più indietro. Avanzo e continuo a incespicare tra rami bassi e cespugli, mentre la pioggia cola in ampi sprazzi dalla visiera del cappello.

Sento l'odore, prima di vederla.

Un odore acre e pungente, violento e innaturale, che supera il tanfo bagnato del sottobosco. L'ho già sentito altre volte, lo riconoscerei ovunque: odore di morte, di sangue, di paura.

Jenny. Jennifer Glades.

Otto anni, trecce bionde, guance rotonde.

Adesso no, non è più niente del genere. È un oggetto inanimato, una bambola svuotata. La illumino il più possibile con la fievole luce della torcia, le mani che improvvisamente mi tremano. Piccola, piccola Jenny. Il suo ventre oscenamente dilaniato, le interiora esposte crudelmente al lavaggio spietato della pioggia.

I suoi occhi sono rimasti aperti, mi guardano vitrei.

Vorrei aver avuto il coraggio di chiamare il vicesceriffo Meadows, buttarlo giù dal divano e dirgli di seguirmi in quella ricerca insensata.

***

La scientifica, le attrezzature futuristiche, non hanno niente a che vedere con Red Creek.

Siamo solo io e Meadows, qui. E i trecento abitanti di un paese morto da decenni, abituati a vivere tra le baracche abbandonate dei minatori, tra i vecchi pozzi chiusi alla meglio con qualche asse di legno, locali fatiscenti e insegne sepolte sotto anni di polvere.

Torno indietro, salgo in macchina in tutta fretta, l'acqua si riversa del tutto simile a un fiume sul sedile, sul volante, ovunque.

L'unica cabina telefonica funzionante è in paese, a dieci miglia da qui. Metto in moto, il motore esita per un istante prima di avviarsi. Riparto.

I tergicristalli non riescono ad arginare la pioggia, i fari illuminano a malapena la strada.

E lo vedo.

Una sagoma coperta da un impermeabile giallo, che attraversa di corsa la strada a una decina di metri da me. Vede la mia auto, si ferma proprio sulla mia traiettoria.

Solleva una mano. La luce incerta dei fari inquadra per un istante il suo viso, un ghigno.

Freno con forza, la macchina sbanda.
Lui è già scomparso nel bosco.

Abe BarberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora