Sette

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Mi portano dentro perché io riconosca il cadavere.

Ed è davvero Meadows.

Lo hanno definito “cranio sfondato”, cazzo.

Tagliato. Con un'esattezza orribile, orripilante, devastante. Con un colpo d'ascia.

Non deve aver sofferto, se non altro. E ora giace immobile, riverso nel suo sangue e nell'odore disgustoso della sua morte e della sua materia cerebrale, impastata sul pavimento.
Uno degli agenti mi riporta sul furgone, sospingendomi con dolcezza. Non sono più in grado nemmeno di camminare.

«Aveva una moglie. Bisognerà avvertirla» comunico, la voce che esita, le labbra che tremano.

«Pensiamo noi anche a questo» mi viene risposto.

«Vorrei farlo personalmente» insisto.

«Sceriffo, abbiamo il dovere di salvaguardare la sua incolumità, al momento, in quanto oggetto delle esplicite minacce di quel pazzo. Immagino che lei si renda conto di quanto un simile atto possa essere un pericolo sia per lei stesso, sia per la famiglia della vittima.»

Sono queste parole a farmi desistere, più che altro.

***

All'alba, Red Creek sembra un posto sconosciuto.

Le scuole rimarranno chiuse. I negozi anche. Per strada non c'è nessuno, tranne un paio di automobili cariche di valigie e oggetti di ogni genere. Gente che vuole fuggire, che vuole lasciare questo inferno. Ho la sensazione che non saranno gli unici.

Silenzio.

Tutto intorno è silenzio.

Ha smesso di piovere, e i primi raggi di sole scivolano su una coltre di fango e paura.

Il furgone dei federali avanza lentamente lungo la strada principale, incontrando solo imposte serrate e finestre chiuse. Un paese morto. Un paese che non esiste più.

***

«Mi sono fatto un'idea ben precisa, sa, sceriffo?» Eales mi versa un altro generoso bicchiere di caffè. «Secondo me è un matto, uno psicopatico che ha deciso di rivivere in prima persona quella leggenda di cui mi parlava.»

«Dice?»

«Dico. Mi creda, ne incontriamo tanti così, nel nostro lavoro. Gente che si ispira a film o a libri, arrivando a ripetere i gesti che vede o legge.»

«E perché così tanti anni, secondo lei, tra i primi omicidi e questi?»

«Bah. Si fidi della mia esperienza. I pazzi come questo, se per tanto tempo non uccidono, è perché lo stanno facendo altrove, o perché sono in prigione.»

«E continuerà a lungo, secondo lei?»

Eales scuote la testa, un gesto secco. «È disperato, sceriffo. Uccide in modo casuale tutti coloro che possono identificarlo o dare informazioni su di lui. Sperava di poter far rimanere tutto entro i confini di Red Creek, ma il nostro arrivo lo destabilizzerà. Secondo me, o si sposterà altrove, o la farà finita.»

«Perché crede questo?»

«Stando a quanto mi ha detto, la prima volta che ha ucciso è stato estremamente prudente e ha fatto in modo di farla franca. Questi venti anni lo hanno colpito molto, secondo la mia opinione. È invecchiato, o magari l'essere riuscito a scamparla lo ha reso talmente sicuro di se stesso da diventare troppo sfrontato. Questo genere di criminale, in realtà, non mi spaventa. Finiscono per bruciarsi da soli, di solito.»

«Venti anni fa non sarebbe stato possibile collegare il suo nome all'incidente delle miniere. Non crede?» chiedo.

Eales mi sorride, come se quello che io dico suonasse terribilmente ingenuo alle sue orecchie. «Anche venti anni fa, sarebbe bastato fare le giuste domande.»

***

Sono le dieci del mattino, quando da Cincinnati giunge un'altra squadra, questa volta della scientifica. Il mio ufficio, sigillato dal nostro ultimo ingresso, viene riaperto e sottoposto alle indagini di routine.

Il coroner fa portare via il cadavere di Meadows, avvolto in uno di quei teli neri che Red Creek, prima di adesso, non aveva più visto per così tanti anni.

Lo spettacolo macabro del corpo caricato in maniera brusca e anonima sul furgone bianco del medico legale mi raggiunge dall'ampia vetrata dell'unica caffetteria del paese, oggi divenuta il quartier generale di tutte le forze dell'ordine coinvolte.

La voce di Jones, via radio, ci raggiunge verso mezzogiorno, quando ormai sono vicino alle settantadue ore di veglia ininterrotta, stordito da una dose eccessiva di caffeina, dalla stanchezza e dall'invincibile desiderio di vomitare.

«Ho concentrato le ricerche dell'unità cinofila nel bosco, signore» comunica, gracchiante, Jones. «Niente di rilevante, per adesso.»

«Cercate soprattutto di rinvenire il furgone dell'assassino, Jones. Deve essere da qualche parte.»

«E se si fosse allontanato, signore?»

«Non posso escluderlo, ma voglio esserne certo prima di allontanarci da qui.»

«Ci sono cinque famiglie che chiedono di poter lasciare il paese, signore.»

Eales sbuffa. «Di quelle mi occupo io». Con un gesto brusco, l'agente speciale interrompe la comunicazione. Si volta verso di me. «Sceriffo, se la sente di accompagnarmi? Ho bisogno di qualcuno che conosca il posto e le persone, e che sappia aiutarmi a non creare ondate di panico tra la popolazione.»

Se potessi scegliere, non tornerei verso quel bosco per niente al mondo. Le gambe mi si fanno di marmo alla semplice idea di doverle muovere. Ma non posso non annuire. «Certo.»

***

«È importante soprattutto evitare che ci siano scene di follia collettiva» mi dice Eales, salendo su una delle auto della squadra e facendomi accomodare sul sedile del passeggero. «Il panico è una delle cose peggiori. Ho assistito a lapidazioni pubbliche, a sparatorie insensate, a mille altri atti di pazzia. Soprattutto nelle piccole comunità come questa, il senso di oppressione e fatalità può assumere sfumature imprevedibili.»

Parla, Eales, con quell'aria di esperienza e superiorità che non può non irritarmi, per molti aspetti. «Mi sembra che lei abbia un po' troppo la tendenza a giudicare folli le azioni delle persone.»

«Ha forse altri termini per definire certe aberrazioni, sceriffo?»

«Sì. Fondamentalmente, li ritengo gesti di odio o di vendetta. Menti equilibrate che cercano in ogni modo di farsi giustizia, in questo caso, e finiscono per compiere qualcosa che, in condizioni normali, non farebbero.»

«E non è follia, questo?»

Ci addentriamo nel bosco. Gli alberi si richiudono intorno a noi, simili a un'orribile morsa. Non riesco a non percepire la fondatezza di questo paragone. Il battito del cuore accelera, le gambe e le braccia si contraggono in un'esasperata scossa adrenalinica.

È qui. Lo sento.

Sento la sua presenza, la sua incombenza, il suo essere proprio qui, a pochi passi da noi, invisibile come al solito. Istintivamente, le mie mani si stringono in una presa nevrotica sul sedile di gommapiuma dell'automobile.

Ancora tre miglia.

Tre miglia lunghe e snodate lungo questa strada coperta di foglie e fango, prima di arrivare da Jones e, con un po' di fortuna, sbrigare in fretta la questione delle famiglie desiderose di allontanarsi.

***

Appare all'improvviso.

Dal nulla.

Il furgone.

Ci taglia la strada comparendo, così, senza che lo avessimo visto.

Eales frena, inchioda. Un'azione completamente istintiva, priva di ragione, priva di senso.

L'auto sbanda, Eales perde il controllo del mezzo.

Scivoliamo sulle foglie impastate di pioggia e fango che ricoprono l'asfalto.

Una sbandata troppo veloce.
L'ultima cosa che vedo, in un fotogramma di coscienza lucida, è l'albero, il grosso faggio che si impone, enorme, sulla nostra traiettoria.

L'urto è impietoso e violento. E la mia mente non registra altro.

Abe BarberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora