Due

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Nulla.

Non c'è più nulla.

Meadows mi fissa con disappunto, come se non mi credesse.

E, devo ammetterlo, inizio anch'io a mettere in dubbio quello che ho visto solo un'ora fa.

Esito ancora per qualche istante; la luce tremula della torcia, inghiottita dalla pioggia che ancora cade incessante, non illumina che rami, foglie e frasche.

«Dove l'ha portata?» chiedo.

Meadows impreca a mezza voce. «Sei sicuro che ci fosse un cadavere? Che fosse proprio qui?»

«Sì, maledizione.»

«Cazzo, cazzo, cazzo» dice, un calcio all'erba fradicia che solleva schizzi di fango. «Quel fottuto bastardo è tornato.»

«Chi?»

«Non ne hai mai sentito parlare, Jimmy?»

Scuoto la testa, perplesso. «Di chi?»

«Dell'assassino delle Molder» spiega, brusco. Mi dà un colpo su una spalla, torniamo lentamente indietro, gli occhi che, istintivamente, continuano a cercare il corpo. «Era il '36, se non sbaglio. O forse il '38. Prima della guerra, comunque.»
Venti anni fa, forse ventidue, quindi.

«Noi siamo qui dal '41.»

«C'era questa famiglia, i Molder. Avevano due figlie, il padre lavorava qui alle miniere. Un giorno, le bambine non tornarono a casa da scuola. Tutto il paese si mobilitò, le cercarono in lungo e in largo. Niente. Poi un ragazzo disse di aver visto il cadavere di una delle due nel bosco. Non trovarono nulla. Qualche giorno dopo, un altro testimone parlò di un cadavere. Ancora nulla.»

«E le bambine?»

Meadows tossicchia. «Diversi mesi più tardi, venne ritrovato uno scatolone che conteneva i resti delle bambine, fatte a pezzi e poi conservate in un congelatore.»

Un'ondata di nausea mi arriva fino alla gola, fatico per contenerla, per evitare di vomitare. «Chi è stato?»

«Non è mai stato scoperto.»

Restiamo in silenzio a lungo, in macchina.

La pioggia continua a cadere, in un ticchettio lugubre sul tettuccio; si riversa sui finestrini, simile a un torrente.

«E adesso, Meadows?»

«C'è poco da fare, fino a quando non esce fuori il corpo. Possiamo provare a chiamare i federali e vedere se mandano qualcuno; credo che la tua parola valga qualcosa.»

«La famiglia ha denunciato la scomparsa?»

«Non ancora. Sei proprio certo che fosse Jennifer Glades?»

Non posso dirlo con sicurezza. Sembrava lei, sì. «Credo di sì.»

«Dobbiamo andare dalla famiglia a dirlo.»

«E cosa diciamo ai genitori, Meadows? Che ho trovato nel bosco il cadavere di Jennifer, ma che il corpo adesso è svanito nel nulla?»

E silenzio, ancora.

Infilo a tentoni la chiave nel cruscotto e metto in moto la macchina: improvvisamente, la sola idea di rimanere ancora lì mi riempie di angoscia.

E non riesco a sentirmi al sicuro, né a liberarmi di quella sensazione di macabra impotenza, nemmeno quando le poche luci di Red Creek, note e sempre uguali, arrivano a rompere il buio dell'orizzonte.

***

Sono costretto a suonare il campanello almeno tre volte, prima che la porta mi venga aperta. Luke Glades mi si para davanti, in pigiama, brusco e nervoso nel volto. «Cosa c'è, Jimmy?»

«Scusami per l'ora, Luke» dico, lentamente, tentando di riordinare in fretta i pensieri, di fare una domanda che non allarmi, che non illuda, che non ferisca. «Jennifer dorme?»

«Ti presenti qui alle tre di notte per chiedermi se mia figlia dorme?»

«Ti dispiace se entro a dare un'occhiata?»

Luke ruggisce, sbatte con violenza una mano sullo stipite. «Cosa cazzo hai che non va?»

«Mi hanno fatto una telefonata» mormoro. Ed è vero, è stata una telefonata a condurmi nel bosco. «Ti prego, voglio solo dare un'occhiata.»

Mi fa entrare, controvoglia.

Salgo le scale che portano al piano di sopra, in silenzio. Luke mi indica la porta in fondo al corridoio. Busso gentilmente, senza ottenere risposta. Abbasso la maniglia.
Il letto è disfatto, la finestra è aperta. E Jenny è sparita.

***

La signora Springs, lenta e imponente come sempre, appoggia sul mio tavolo un fascicolo: il rapporto del vecchio sceriffo sugli omicidi di Martha e Sally Molder.

Allungo una mano verso l'ennesima tazza di caffè. Sono le cinque del mattino, la signora Springs è venuta prima dell'alba dopo aver sentito l'allarme suonare per tutto il paese. Le squadre di ricerca volontarie stanno già battendo il bosco, stanno controllando ogni strada, ogni pozzo di miniera abbandonato, ogni casa vuota.

Il nome Molder è già venuto fuori. Tra le urla strazianti della madre di Jennifer, naturalmente.
E io sono qui a cercare di capire.

Non esistono più prove o altri referti del vecchio caso: tutto è stato portato via dai federali, a suo tempo. È rimasta solo questa cartellina ingiallita, contenente i rapporti scritti a macchina dal mio predecessore.

Li leggo in fretta. I dettagli sono pochi, straordinariamente pochi.

Le due bambine erano state viste uscire da scuola. Dei compagni le avevano salutate a poche iarde da casa. Poco dopo l'ora di cena, la madre, ovviamente allarmata dall'assenza, aveva telefonato prima alla scuola, poi a tutti gli amici, infine alla polizia. Le ricerche erano partite quella notte stessa, senza riuscire a trovarle. Soltanto due giorni dopo, un uomo aveva riferito di aver visto un furgone con targa della Carolina, o forse del Nevada, che attraversava il paese in piena notte, a bassissima velocità.

All'epoca i federali non si spostavano per un semplice caso di scomparsa. Lo sceriffo era rimasto da solo a organizzare le ricerche – esaurite, tra l'altro, una volta arrivati al confine della contea – e a cercare testimoni e sospetti.

Aveva interrogato a più riprese i genitori della bambina, tutti i parenti in vita, tutti gli amici di famiglia, i vicini, le insegnanti. Non era emerso niente.

Erano altri tempi, quelli, del resto.

Solo tre settimane dopo la scomparsa, due giorni dopo la denuncia del rinvenimento del primo cadavere poi sparito, da Dayton avevano mandato una squadra della scientifica. Le forti piogge avevano impedito di appurare con certezza se, nel punto indicato dal ragazzo, ci fosse mai stato un cadavere. Il ragazzo era stato ritenuto un testimone inattendibile e le indagini erano rimaste ferme.

Quando una seconda persona aveva parlato di un cadavere abbandonato nel bosco, lo sceriffo aveva appuntato meticolosamente la sua testimonianza, ma si era ben guardato dal richiamare Dayton perché mandassero qualcuno.

Le due testimonianze sono incredibilmente simili. Le leggo con il cuore che si ferma, con il sangue che si gela nelle vene.

Corpo sventrato, con le interiora in vista.
Pioggia torrenziale.

Come Jennifer.

Le mani mi tremano.

I federali erano arrivati al ritrovamento dei cadaveri.

La foto spillata al rapporto mostra un grosso scatolone impregnato d'acqua, contenente i corpi fatti a pezzi. Una vista che mi contorce ancora lo stomaco, che mi fa sudare freddo.

«Non hanno mai trovato l'assassino» mi dice la signora Springs, avvicinandosi. «Lo sceriffo Banks era impazzito, mi creda, per questo caso. Un paio d'anni dopo i fatti, i Molder abbandonarono Red Creek e non se ne seppe più nulla. E non è più sparito nessuno, da allora

Abe BarberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora