Presentazioni

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Sono da sempre abituata a considerarmi quella strana, la pecora nera, quella che si comporta costantemente nella maniera opposta a quella ritenuta più opportuna. Il che, ad una attenta analisi, non può non essere altrimenti, per una cresciuta senza una madre già dai sei anni di età.

Eh già, Loredana, mia madre, mi lasciò prima ancora che iniziassi a frequentare la prima elementare, a causa di un tumore al cervello, che se la portò via in poche manciate di mesi. Così, senza una sorella o un fratello, sono cresciuta con mio padre, Fernando, un meccanico, il quale avrebbe, probabilmente, preferito avere a che fare con un ragazzo, piuttosto che con me. Non fraintendiamoci, mio padre mi ha sempre amata, protetta, ma credo che occuparsi di una bambina, sia stata per lui la sfida più ardua della sua vita. Diceva spesso che sapeva come fa rinascere un'auto da un catorcio sopravvissuto ad un tamponamento ad alta velocità, ma di avere seri problemi a capire anche solo come parlarmi. Insomma il mondo femminile e quello maschile possono vivere in perfetta simbiosi, solo se il legame tra quei due individui non è quello di padre/figlia.

Sono sopravvissuta comunque, ho attraversato la pubertà, sono diventata un'adulta, arrivata alla veneranda età di trentadue anni e finalmente sono una donna indipendente, che fa il lavoro che ha sempre desiderato poter svolgere.... Ah, sì... il mio lavoro.... anche questo non è tanto usuale. Sono un ingegnere e lavoro come meccanico presso un team di Moto3... già un meccanico anche io... mio padre non avrebbe potuto desiderare figlia più strana di me?

Le mie insolite passioni non sono certo roba di cui meravigliarsi comunque, almeno per chi mi conosce da tempo.

Alle elementari, mentre le mie amiche chiedevano un violino, un tutù, un pony ai loro genitori, io chiesi a papà una mini Polini. Non doveva essere tanto stupito, pensai, in fin dei conti, trascorrevo le ore dopo la scuola nell'ufficio dell'officina, a fare i compiti con il sottofondo del rombo dei motori, tra le chiavi a brugola, quelle inglesi...

A otto anni sapevo distinguere le dimensioni di ogni bullone, vite o qualsivoglia organo di collegamento, cosa insolita, ma della quale mio padre era sempre fiero di vantarsi con i conoscenti.

Al contrario, le mie zie, sorelle sue e di mia madre, erano spesso in disaccordo con il modo che aveva di crescermi... L'officina non era luogo per una bambina, la mini moto non era il regalo giusto... Papà era testardo, come lo sono io, da qualcuno dovevo prendere, no? Perciò continuò a crescermi come la ragazza/ragazzo che volevo essere.

Non solo mi regalò la moto, ma mi iscrisse prima ad un corso di guida per bambini e a otto anni... CORREVO! Già, correvo nelle competizioni, e vincevo anche! A dieci anni diventai campionessa italiana della mia categoria e continuai fino ai quattordici.

Con l'avvento delle superiori mollammo un po' il tiro. Facevo il liceo, dovevo dare più tempo allo studio. Come ogni teenager, mi innamorai del fighetto della scuola, uno del terzo anno, ripetente non so da quanto, Giuseppe Valente, detto Pippo, che veniva a scuola con la sua Honda 600cc con le carene Repsol, un dio insomma... un dio un po' idiota comunque, che non perdeva l'occasione di prendermi in giro, perché ero l'unica ragazza ad andare a scuola con un'Aprilia sx 50cc. Ve lo immaginate? Una moto che fa un casino pazzesco, che riesci a sentire arrivare da due isolati di distanza? Posseduta dalla figlia di un meccanico, che la accompagna alle corse? Avevo la moto truccata ovviamente, se ve lo state domandando. Insomma, ero quella strana, ma ero pur sempre una ragazza alle prese con la prima cotta.

Accadde un anno dopo, quando frequentavo il secondo anno l'evento che cambiò ogni mio piano. Volevo da sempre fare il pilota, gareggiare, essere la prima donna a correre nella classe regina, in MotoGP. Pippo Valente era uno stronzo di diciannove anni che faceva il carino con me solo per prendermi in giro. Una sera mi convinse a rubare una moto nell'officina di papà per una corsa. Se lo avessi battuto, saremmo usciti insieme. Accettai. Rubai un Kawasaki Ninja verde, una favola su due ruote e iniziammo la gara... Poi in un solo attimo tutti i piani andarono in fumo ed io dovetti cambiare rotta, scegliere un'altra strada... ma alle competizioni serie ci sono arrivata comunque, no? Dafne, il meccanico, suona bene lo stesso.

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