Race to love

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La sensazione di estrema quiete che si respirava una volta rientrati a casa, dopo il weekend di gara, crea un tale stordimento da farti crede di essere stato trapiantato in una quotidianità che non ti appartiene, un po' come quando visitando un luogo sconosciuto, vedi la gente intorno a te camminare spedita, cosciente della propria meta, mentre tu non hai la più pallida idea di dove ti trovi.
Avevo deciso di mantenere il cellulare in modalità aereo, nel tentativo di rendermi irraggiungibile da chiunque. Il che valeva anche per il mio coinquilino, il quale, in poco più di quarantacinque metri quadri di appartamento, riusciva ad ignorarmi come quei tizi che incontri nei centri commerciali e, pur conoscendoti, vogliono evitare di salutarti per qualche ignota ragione. Li vedi procedere in una specie di stato di trance, neanche fossero monaci tibetani, osservando un punto infinitamente distante e poco chiaro alle tue spalle. Ecco, Mattia sembrava uno di loro.
Per concludere degnamente la sua negazione alla mia presenza, Mattia era uscito quasi subito dopo essere rientrati, senza neanche dirmi dove stesse andando o quando avesse intenzione di rientrare.
Mi sentivo un po' come Will Smith in "Io sono Leggenda", tristemente più sola di lui, perché non avevo neanche un cane con me. La differenza tra il protagonista di quel film e me era che la mia solitudine io me l'ero cercata, rifiutando la presenza di qualsiasi altra forma di vita intelligente.
Ebbene, me ne stavo rannicchiata sul mio mini divano, con la TV spenta, il cellulare staccato e il mio assistente vocale programmato a riprodurre la Playlist musicale più angosciante che avessi mai potuto chiede di ascoltare. Eppure avevo detto "musica romantica", quello invece aveva scelto Celin Dion, John Legend... Giusto per citarne alcuni.
Eh già, avevo capito che quello non sarebbe stato un rilassante giorno di riposo, ma tempo di meditazione e struggimento emotivo.
Pranzai, tanto per mantenermi nel mood festaiolo, con due uova sode, tristissime e con le quali quasi mi strozzai mandando giù i tuorli.
Oggi, a distanza di tempo, mi chiedo: "Per quale diavolo di ragione ti sei preparata quelle due uova, quando avresti potuto chiamare e farti portare il pranzo a domicilio?"
Il mio appartamento era praticamente invaso dalla nauseante puzza di quella pietanza spartana, quando qualcuno suonò alla porta.
Maledizione! Doveva essere l'inquilino della porta accanto, pensai, sempre pronto ad impicciarsi delle mie partenze e i rientri, scusando l'invadenza con il tanto famigerato bicchiere di zucchero mancante in dispensa.
Il tipo mi faceva un po' di paura, se devo dirla tutta. Era un uomo tarchiato, con occhiali cerchiati di metallo dalle lenti semi oscurate e piccole mani in continuo movimento ad altezza del petto, proprio sulla pancia prominente. Sembrava uno di quegli ultra quarantenni affetti da qualche forma di ossessione maniacale, il che non era affatto una mia sensazione. Lo avevo beccato, più di una volta, a frugare nei bidoni condominiali della raccolta differenziata, intento a ispezionare la spazzatura dei condomini, controllando che tutti avessero suddiviso correttamente i propri rifiuti.
Senza curarmi troppo dei capelli che non vedevano un colpo di spazzola dalla sera precedente, della canotta con i nodi alle bretelle troppo sciupate dai lavaggi, sprovvista di reggiseno e a piedi nudi, spalancati la porta, stampandomi sulla faccia il peggior sorriso falsamente cordiale che avessi a disposizione, attendendo il suo bicchiere di plastica trasparente, che mi allungava, sfiorandomi le mani, e il suo collo che si insinuava nel mio appartamento, ispezionandolo attentamente.
Poteva essere che, una sola volta in vita mia, le cose andassero come aveva previsto il mio confuso cervello? Assolutamente no!
Aperta la porta, il cuore fece un balzo talmente potente che, con molta probabilità, da quel momento in poi, non è più tornato nella sua posizione originale per il resto della mia vita, insinuandosi un po' più a destra nel petto.
Confermando il mio essere completamente idiota, rinchiusi violentemente la porta con un tonfo assordante, prendendo ad inspirare più profondamente per riavermi da quella visita inaspettata.
-Dafne?- pronunciò Ernandez in tono sorpreso, dalla parte opposta del mio blindato.
Riaprì immediatamente, quasi a voler far credere che quella di pochi istanti prima non fossi stata io, tentando si sistemarmi i capelli con le mani e cercando di sembrare naturalmente a mio agio (per quanto una che ti ha appena sbattuto in faccia cento chilogrammi e oltre di porta in metallo possa apparire).
-Ciao! - esclamai falsamente entusiasta e sorpresa, come se lo vedessi solo in quell'istante.

the Race to LoveWhere stories live. Discover now