L'importanza di un nome

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Il gran premio di Catalunya era alle porte, a due settimane di distanza dal Mugello. Avevamo ancora l'odore di casa nelle narici, il vociare familiare nelle orecchie e il calore del sole sulla pelle, quando ci imbarcammo sul solito volo economy, diretti verso l'Europa occidentale.

Stavolta la squadra fu molto più caritatevole e ci sistemò in albergo. La comicità della situazione fu immensa, quando scoprimmo che noi poveri figli di un dio minore eravamo stati stipati in un hotel sicuramente pulito e grazioso, ma da cinquanta euro a notte, mentre lo squadrone della classe più alta, i nobili oserei dire, stavano a meno di cento metri di distanza, in un super albergo. Non che la cosa mi importasse, sinceramente, ma da qui era palese la differenza di mezzi economici tra la Moto3 e la MotoGP.

Avevo sentito Ernandez praticamente ogni giorno dopo il Mugello, anche se non eravamo riusciti ad incontrarci. Stava diventando quasi un buon amico, quello che chiami per chiacchierare del più e del meno, lamentandoti di quanto la tua vita faccia schifo. Una parte di me nutriva ancora delle riserve su di lui, era comunque lo stesso egocentrico, lo stesso pilota da attacco, talvolta scorretto e questo non mi garbava molto. Anche al Mugello, seppure lusingata del suo casco dedicato a lui e me, lo avevo bacchettato, dopo aver visto la registrazione della gara, per una sportellata ad un rivale in entrata di curva, troppo violenta e scorretta.

Ernandez però sembrava aver imparato a scindere le due dimensioni che ci univano, lo sport e la vita reale. Non se la prendeva troppo del mio tifo rivolto quasi esclusivamente ai piloti miei connazionali, né di come tendessi a dare sempre la colpa a lui per le manovre di gara discutibili. Aveva capito che sportivamente non ci saremmo mai incontrati, o almeno non troppo presto.

Il mercoledì della settimana di gara avevamo portato parecchie novità sulla moto, visto il tempo in più che avevamo trascorso in madre patria e Alex sembrava più agguerrito che mai. Poteva giocarsi il titolo al suo primo anno in Moto3.

I camion arrivarono e ovviamente lo scarico e l'allestimento box fu noioso e faticoso come al solito. Insieme a Mattia e Giulio, un altro collega poco più grande di noi, alla terza stagione con il team, decidemmo di rientrare in albergo, cambiarci e andare a fare un giro tutti e tre insieme.

Giulio era un ragazzo taciturno e introverso, un omone alto quasi due metri con le spalle larghe e le gambe lunghissime, dedito al lavoro, oserei dire devoto. Sì, il lavoro era la sua religione. Da lui avevo imparato molti trucchetti per svolgere più velocemente alcune riparazioni e regolazioni meccaniche, cose che di solito in officina fai con calma e tranquillità, ma che in una competizione devi riuscire a gestire nel minor tempo possibile. Adoravo i suoi capelli rosso carota e le sue lentiggini. I primi giorni di lavoro quasi non mi aveva rivolto la parola, arrossiva quando ci parlavamo, adesso invece, nonostante non fosse comunque un grande chiacchierone, era più sciolto e ci divertivamo quando borbottava sommessamente, imitando Franco ed i suoi attacchi isterici.

L'albergo era vicinissimo all'autodromo e per non fare troppo tardi, ce ne restammo nei dintorni, c'era così tanta gente e così tanta vita intorno a noi (Già solo tutti gli uomini delle diverse squadre avrebbero riempito un paese), che era impossibile non essere allegri.

Cenammo ne "Il ristorante dell'autodromo". Il menù spaziava dal fast food a quello locale. Io, affamata come un segugio, presi la paella.

Ben presto capì che Giulio, i primi tempi, non arrossiva a causa mia, ma per Mattia. Eh, già, i due sembravano avere un feeling straordinario, tanto che decisi di rientrare in albergo da sola e lasciare che scambiassero quattro chiacchiere in privato.

Ritornai al mio rifugio notturno che erano appena le 21.30, godendomi il tragitto in taxi. Quella sera le gambe iniziavano a infastidirmi, quindi la decisione di rientrare era stata dettata anche dalla paura che l'indomani avrei potuto avere problemi a stare in piedi.

the Race to LoveWhere stories live. Discover now