Ritorno alle origini

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Nei giorni precedenti avevo cercato di immaginare le sensazioni che avrei provato al momento dell'intervento. Ansia? Preoccupazione? Un attacco di panico di quelli con i fiocchi? Che avrei fatto? Ero convinta che avrei dato di matto, che mi sarei alzata dalla barella, coperta solo dal camice legato dietro la schiena che mi avrebbero fornito e, chiappe al vento, sarei schizzata fuori dall'ospedale. Nulla di tutto ciò. Quella mattina ero tranquilla, rilassata, come se stessi per godermi un magnifico soggiorno in spa. Forse, sotto consiglio di mio padre, mi avevano somministrato di nascosto qualcosa di potente per sentirmi tanto quieta.

Lasciai la mia camera di ottimo umore, salutando mio padre, come prima di uscire da casa per andare a fare le spesa, ma il tragitto riuscii a mettermi alla prova. Mentre percorrevo i corridoi, coperta fin sotto il collo da un candido lenzuolo, il mio sguardo incrociava quello della gente intorno. Molti mi osservavano, probabilmente ipotizzando cosa avessi, dove fossi diretta con quella cuffietta verde che mi raccoglieva i capelli. L'infermiera che spingeva il lettino, una quarantenne dalla vaporosa coda di cavallo bionda e artigli dipinti rosa fluo, continuava a parlare con tutti i colleghi che incontrava.

-Porto la ragazza in sala operatoria e ritorno in reparto. Ho il turno fino alle 14.00 oggi. Una giornata piena di operazioni. Farò su e giù di continuo.-

Quella poca discrezione mi metteva seriamente di malumore, tanto che non vedevo l'ora di giungere a destinazione. In ascensore la vidi tirare fuori il cellulare e picchiettare con le unghie sul display, prima di inviare un vocale.

-Sto consegnando una ragazza adesso, ci sentiamo dopo.-

Consegnare? Cos'ero un pacco?

Fu enormemente liberatorio venire parcheggiata in sala pre-operatoria e restare qualche minuto da sola, a fissare il soffitto celestino, i bocchettoni dell'aria condizionata, l'illuminazione. Gli unici suoni di quella stanza erano il soffio del sistema di aerazione e un vociare lontano.

-Dafne?- La voce del dottor Tiberi mi fece quasi spaventare, impegnata com'ero a studiare ogni minimo dettaglio di quel luogo.

-Tutto bene? Sei tranquilla?-

-Serena.- risposi, rendendomi conto che non lo ero affatto. Avevo paura, ma contemporaneamente una vocina interna continuava a sussurrarmi: "È inevitabile, inutile agitarsi!"

-L'intervento, come ti ho già detto, durerà qualche ora. tu dormirai e non ti renderai conto di nulla. Quando ci siamo visti l'ultima volta, la situazione era peggiore rispetto ad oggi, quindi sono fiducioso. Ci vediamo in sala.-

Il chirurgo mi carezzò la cuffietta, con fare paterno. Era molto cambiato da quando mi aveva operata sedici anni prima. Allora aveva sì e no una quarantina d'anni ed era un affascinante uomo di mezza età con gli occhi blu cobalto e la barba rossiccia, oggi era poco meno che sessantenne e il grigio aveva sconfitto la tinta color carota con gli anni, ma conservava lo stesso intenso colore del mare nello sguardo.

Lo ringraziai, non so esattamente per cosa, forse perché era stato tanto premuroso, poi sentì la mia barella muoversi e seppi che era il momento.

Una volta in sala mi trovai immersa in quel vociare che avevo udito lontano. C'era un po' di gente intorno a me, almeno quattro persone, tutti in camice verdino, cuffietta e mascherina, tra questi una donna che continuava a ridacchiare con i colleghi.

-Non preoccuparti, scherziamo solo prima di iniziare, quando lavoriamo siamo serissimi. - puntualizzò, scorgendo la mia espressione confusa.

Un uomo si avvicinò, oscurando per qualche istante le luci sopra di me. Era l'anestesista e mentre mi bucava per inserire l'ago nel mio braccio, che aveva precedentemente immobilizzato di lato su un bracciolo dedicato, ebbe la triste idea di chiedere:

the Race to LoveWhere stories live. Discover now