Del tutto inaspettato

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Li chiamano i giorni dell'abbandono. Sono quelli in cui credi di essere caduto tanto in profondità che, pur tentando con tutte le tue forze, non sarai mai in grado di risalire dalla voragine che ti ha inghiottito. Ogni singola parte del mio corpo sembrava urlare, ma quei lamenti erano udibili solo dalle mie orecchie. Avevo pensato più di una volta di prendere il telefono per bombardarlo di chiamate e se non mi avesse risposto gli avrei scritto, ma ogni volta ero rimasta a guardare il display, dicendomi che se mi avesse ignorata, o peggio se non avesse voluto sentire ragioni, sarei sprofondata ancora più giù e non potevo permettermelo.

Ripartire era l'unica opzione che avrebbe potuto, quanto meno, rimettermi in piedi, facendomi lasciare quell'appartamento, dove non facevo altro che fissare la porta, come se dopo tre giorni Juan fosse ancora fermo sul pianerottolo, in attesa che gli corressi dietro. Avevo anche dormito sul divano, non so se per la mancanza di forze per raggiungere il letto oppure per paura di non sentire il campanello.

Juan però questa volta non tornò e più passavano le ore, i giorni, più l'ipotesi di un ravvedimento sembrava lontana anni luce.

Dovetti lasciare quella tana quando feci ritorno in azienda, ma non esisteva nulla che riaccendesse la scintilla dell'entusiasmo. Svolgevo il mio lavoro, solo questo.

Avevo quasi dimenticato che la settimana successiva la nostra tappa sarebbe stata proprio la Spagna e lì tutto avrebbe parlato di Juan.

Alex sembrava l'unico ad essersi accorto del mio strano stato, ma non faceva domande, si prodigava solo nel tentativo di strapparmi un sorriso e ogni tanto ci riusciva. Se non fosse stato per lui, probabilmente quella sarebbe stata la volta buona che avrei lasciato definitivamente il mondo del Motorsport.

Più proseguivo più mi rendevo conto di quanto stessi perdendo percorrendo quel cammino.

Messo piede in territorio spagnolo bastò la voce dello speaker in aeroporto a gettarmi ancora più profondamente in uno stato quasi catatonico. Ero vigile solo se mi occupavo delle questioni legate alla moto e alla gara, per il resto anche solo una parola pronunciata nella maledetta lingua di quella nazione, aveva l'effetto di una pugnalata tra le scapole.

Non so se si trattò solo di fortuna, oppure se Ernandez avesse trovato il modo di evitarmi accuratamente, come io in passato non ero stata capace di fare, ma per tutto il pre-gara non lo incrociai neanche una volta. In realtà credo che la cosa avesse potuto solo giovare, incontrarlo avrebbe significato sentirmi ancora peggio, quindi per quale ragione lamentarsi?

Certo, avrei preferito incrociarlo mentre camminava nel paddock piuttosto che arrivare la domenica mattina presto per il Warm up e vedere uscire una donna dal suo motorhome. Al contrario di me, ogni volta lui riusciva a trovare presto una consolazione adeguata, mentre io sguazzavo inesorabilmente nell'autocommiserazione.

Piuttosto che restare in giro, visto che era talmente presto che non era ancora concesso andare al nostro box, dopo essermi accertata che fosse lì, raggiunsi Mattia nella zona ristoro per fare colazione insieme. Non ci eravamo ancora visti dal giorno in cui aveva lasciato casa mia e la mia vita sentimentale si era trasformata in una commedia dei fraintendimenti, degna di Shakespeare e il suo volto mi strappò il primo vero sorriso da allora.

Non parlammo molto, anzi io non parlai, ero stata talmente tanto tempo in silenzio che forse avevo perso anche la capacità di fare conversazione. L'unica cosa che mi fece tornare la voce fu la vista di Diaz che già si aggirava per il paddock, con la sua fedele camicia celestina e i primi due bottoni staccati.

-Diaz, non ho dimenticato il nostro accordo!- esclamai, alzando la voce perché si votasse mentre mi passava davanti.

-Sono un uomo di parola. Fammi sapere dopo la gara.-

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