Dimenticanze

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Avevo iniziato a prendere familiarità con il paesino che mi stava ospitando in quella nuova avventura, iniziavo a salutare i miei vicini, a scambiare con loro considerazioni sul tempo, a fare due chiacchiere con la cassiera del supermercato, ad essere riconosciuta come la ragazza con il ninja, a sentirmi parte di quel team che mi aveva accolta senza sottovalutarmi. Tra un appartamento che adoravo e un impiego che amavo anche di più, mi sentivo fortemente appagata per tutto ciò che mi stava capitando. C'erano due gran premi da affrontare, prima della pausa estiva. Avendo cominciato così tardi a lavorare per Miles, ero una dei pochi fortunati a giungere a quei due ultimi appuntamenti con la carica giusta. Avevamo lavorato molto in azienda, apportando delle modifiche alla sagoma del serbatoio per avvicinarci ancora di più ad una fisionomia che calzasse Alex come un guanto e contemporaneamente avevo potuto sperimentare una frequentazione più assidua con il mio pilota.

Nonostante i traguardi raggiunti e la sicurezza in pista acquisita con essi, Alex restava lo stesso timido ragazzino dell'anno precedente, incapace di socializzare, se non a patto che qualcun altro avesse dato il via ad una conversazione. Con suo padre si era trasferito in Emilia Romagna, occupando una bella villetta accoccolata tra le colline, dove il ragazzo prediligeva portare avanti lunghe sessioni di allenamento in bici in solitaria. Le aspettative su di lui erano talmente alte quell'anno che era evidente la sua tensione, la paura di non riuscire e il rifiuto verso qualsiasi risultato che non lo tenesse ben saldo al suo primo posto in classifica.

Quando partimmo per Assen, ero un po' perplessa dall'incapacità del nostro entourage di comprendere quanto Miles fosse sotto stress e quanto la ripetizione costante dell'obiettivo di chiudere saldamente al primo posto in classifica prima della pausa, mantenesse il ragazzo in un costante stato di panico da prestazione. Forse anche per questa ragione Alex aveva così insistentemente richiesto la mia presenza, perché al contrario dei restanti membri della squadra, io ero in grado di scrollarlo quando perdeva il senno e di coccolarlo quando era troppo abbattuto.

Il penultimo fine settimana di gara, fu dunque un alternarsi di alti e bassi, e nonostante i discreti risultati di Alex in pista, classificato al quinto posto in quel Gran premio, ero cosciente di dover mettere in discussione con il team anche l'aspetto legato alle pressioni sul nostro pilota, ancora troppo giovane per tutto quel peso.

Con tutto questo da farsi per la nuova squadra, nonostante il continuo incrociare Ernandez come se sbucasse dai tombini nel paddock, mi ero leggermente staccata dal seguire cosa stesse accadendo in MotoGp, tanto che quel fine settimana libero dopo Assen, che stavo trascorrendo in compagnia di Mattia in riviera Romagnola ad abbronzarci, rimasi quasi scioccata nell'apprendere che le due ultime gare di Juan erano state assolutamente disastrose rispetto alla sua media. Era comunque in testa al mondiale, ma una caduta e un settimo posto erano stati i suoi due ultimi risultati. Era in testa con soli diciassette punti di vantaggio, ridotti così al minimo anche a causa della caduta.

-Beh, anche i grandi sbagliano.- sbottai dopo aver ascoltato le news da Mattia.

Disteso al mio fianco, sul suo lettino turchese, Mattia si voltò ad osservarmi, abbassando gli occhiali da sole a specchio.

-Hai da dire solo questo?- domandò, quasi scocciato.

Lo osservai perplessa, senza avere idea di cosa si aspettasse.

-Dovrei dire altro?- chiesi, quando mi resi conto che non avrebbe smesso di fissarmi.

-Tu non vuoi ammettere la lampante verità del fatto che da quando sei tornata, Ernandez è calato in prestazioni?-

Saltai a sedere come se il mio lettino fosse stato avvolto dalle fiamme, a pochi centimetri dal volto di Mattia, che non si mosse, ma attese solo una risposta.

the Race to LoveWhere stories live. Discover now