Le apparenze a volte ingannano.

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Fin da bambina, uno dei più grandi desideri della mia vita era stato visitare il Texas, lo stato dalla pistola libera, dai berretti da cow-boy ed i pantaloncini di jeans sfilacciato sui camperos di pelle di coccodrillo. Quando atterrammo all'aeroporto di Austin tutta l'aspettativa riguardo la grandezza, l'essenza megalomane degli americani, fu superata ampiamente.

Ogni cosa che mi circondava era incredibilmente imponente, gigantesca. Strade, edifici, persino le auto erano di almeno una taglia in più rispetto a ciò che avevo visto in vita mia. L'aeroporto stesso era una cittadina, per uscirne dovetti accendere il GPS del cellulare, perché io e Mattia ci eravamo staccati dal gruppo e persi come due imbecilli.

Non andammo all'autodromo lo stesso giorno, perché arrivammo in serata. Ci saremmo recati in pista l'indomani, mercoledì.

Dopo l'incursione notturna al mio bungalow in Argentina, non avevo più avuto contatti con Ernandez. Come una quindicenne insicura, avevo quotidianamente controllato i social in cerca di sue notizie. Ero venuta a conoscenza del fatto che si fosse concesso due giorni in SPA e che, faceva giornalmente una qualche attività sportiva che, puntualmente postava per i fans, ma nulla di più. La cosa però, mi aveva resa fiera di me stessa. Avevo rifiutato un ragazzo fighissimo, più giovane di me, pieno di soldi che mi aveva cercata più di una volta. Io sì che ero una donna satura di integrità morale e amor proprio.

Alla fine comunque, il pilota si era mostrato per quello che era realmente. Mi aveva cercata per puro divertimento ed io al divertimento non ero interessata e meno di ogni altra cosa a lui, che consideravo solo un buffone montato.

Al termine della giornata di preparazione eravamo carichissimi per il giovedì di libere. Il più in forma di tutti era il nostro piccoletto. Alex aveva acquisito con quel podio una sicurezza che lo rendeva quasi un veterano. Parlava con i tecnici, diceva la sua, già, era più loquace di quanto lo fosse mai stato da quando lo conoscevo. Il fatto che fossi l'unica donna nei box lo aveva molto avvicinato a me, forse mi vedeva come una specie sorella maggiore, o di mamma e quest'ultima avrei potuto esserlo se l'avessi concepito alla sua età. Sarebbe stato impossibile comunque, visto che quello dei sedici fu l'anno più difficile della mia vita.

Ero contenta però di questo rapporto, e lo fui ancora di più quando Alex chiese esplicitamente a Franco di lasciare che prendessi parte al gruppo di meccanici in griglia di partenza. Fui promossa ad addetta alla termocoperta posteriore... beh sì, un passetto per volta si va avanti, giusto?

-Allora ragazzi! - incalzò Franco nel box, poco prima delle qualifiche - e ragazza. - si corresse -Questa gara è l'ultima oltre oceano. Dopo potremo goderci una settimana di sudate ferie, per poi ripartire per la Spagna. Vi voglio carichi, vi voglio svegli e super attivi. –

Questo era il minimo. Volevo tornare a casa, per quanto viaggiare fosse meraviglioso. Mi mancava il mio micro-appartamento e volevo un paio di giorni di assoluto relax. Dovevo dare il massimo per godermi a pieno quelle ferie, con la testa svuotata da qualsiasi pressione.

Alex rispettava sempre le aspettative. Si qualificò terzo, prima fila per lui e gioia immensa per tutto il team. Dopo la conferenza stampa e le varie interviste, rientrò ai box, ringraziandoci uno ad uno. Ero felicissima per lui. Alla sua età mi sarei sentita una dea, se avessi potuto raggiungere i suoi traguardi.

Eravamo talmente su di giri che non prestammo la minima attenzione alle qualifiche delle classi maggiori, ma alla fine che diavolo poteva fregarmene? Sicuramente Ernandez in pole e poi gli altri.

Invece, aperto Instagram la sorpresa: la pole era di un italiano in sella alla Ducati! Potevo sperare di più? Quello sì che era un sabato perfetto.

Per quella tappa non era previsto un albergo, c'erano delle strutture apposite nel circuito e avremmo usato quelle per pernottare. Un alloggio modesto, certo, ma eravamo una piccola squadra, dovevamo accontentarci. Avremmo potuto essere anche alla periferia di Austin, non avrebbe fatto differenza, primo perché le distanze negli USA sono incomprensibili a noi poveri abitanti del vecchio continente e raggiungere l'autodromo, da qualunque altra zona, avrebbe significato come minimo un'ora di auto, secondo perché il jet-lag ci stava torturando fin dall'arrivo in Argentina e spesso avevamo sonno quando non dovevamo e il contrario.

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