1. Collisioni

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La vita è ciò che accade mentre sei impegnato a fare altri piani.

John Lennon

Ma chi diavolo ha inventato il punch? La domanda mi frulla nel cervello con più insistenza di una mosca fastidiosa, mentre me ne sto appoggiata al tavolo delle bibite con un anonimo bicchiere di plastica in mano che qualcuno continua a rabboccare come se fosse un sacrosanto dovere.

Tra un'ora sarà mezzanotte e se non mi schioderò da quest'angolo invisibile mi ritroverò a essere eletta ragazza sfigata dell'anno. Per una volta, mi piacerebbe passare il testimone.

Il problema è che ODIO le feste. Dai compleanni agli anniversari del criceto ultracentenario. Sono come quei film che tutti dicono di amare ma che nessuno capisce davvero. Piene di gente che brinda alla felicità, di giochi di sguardi e di incontri casuali che dovrebbero sfociare in amicizie durature o in amori da favola, ma che nel mio caso finiscono con un imbarazzante "Scusa, credevo fossi qualcun altro". Per non parlare del cibo. Buffet come opere d'arte fino a quando non ti accorgi che l'unica cosa veramente commestibile è il pane senza glutine che nessuno tocca mai.

Questa festa, in particolare, è un capolavoro di Jenna Robinson, regina incontrastata degli eventi sociali del liceo, con un talento per la drammatizzazione che persino Shakespeare avrebbe invidiato. Ha trasformato il salone comunitario, di solito riservato a riunioni noiose e a banchetti di raccolta fondi, in un'esplosione di luci e palloncini appesi al soffitto come meduse in un mare di champagne.

In queste situazioni, ho sempre la sensazione di dover interpretare una versione di me stessa che non riconosco. Una Harper che sorride troppo, che parla troppo, e che si ritrova a fingere interesse per l'ennesima storia su come qualcuno abbia quasi incontrato una celebrità in un bar di terz'ordine. Le feste mi mettono di fronte a uno specchio dove tutti sembrano avere il superpotere di socializzare senza sforzo mentre io sono l'aliena appena atterrata sul pianeta dell'Inadeguatezza.

Ma è Capodanno e, nonostante l'istinto mi urli di afferrare il cappotto e di darmela a gambe, c'è una minuscola, ridicola parte di me che vuole credere in un po' di magia. Un nuovo anno è un nuovo inizio, no? O almeno così si ostinano a ripetere quelle cartoline luccicanti che la gente si scambia con entusiasmo sospetto per l'occasione.

Perciò bevo e sorrido. E sorridere, santo cielo, è un lavoro duro, quasi quanto cercare un francobollo del 1945 in un mercatino di periferia. Sì, francobolli. La mia strana ossessione. Alcuni collezionano esperienze, io francobolli. Ogni piccola figurina è un portale in miniatura per un'altra epoca, un'avventura fatta di aste online alle tre del mattino e negozi polverosi gestiti da vecchietti che potrebbero essere stati amici di Hemingway o di Agatha Christie, per quel che ne so. I francobolli sono il mondo che si riduce a qualcosa di tangibile e semplice, un universo che posso tenere delicatamente tra due dita.

«Harper!»

Una voce mi chiama dall'altra parte della sala. Mia sorella Avery.

Si fa strada con una grazia che mi porta a pensare che sia stata lei a inventare il concetto di "coolness". I capelli sono un flusso di ciocche brune che le accarezzano i glutei, catturando i riflessi di luce come fili di purissima seta. Indossa un vestitino che sembra dipinto sulla sua pelle, fascia le sue curve in modo provocante ma senza essere volgare. Ha un sorriso così genuino e contagioso che disarmerebbe persino l'animo più cinico. Non cammina, lei scivola attraverso gli sguardi ammirati.

Nel nostro duo, è senza dubbio la stella di casa.

«Te l'hanno detto che l'immobilità non diventerà mai il nuovo trend del secolo?» esclama, afferrandomi per un braccio con una dolcezza che è un ordine mascherato. «Anche Cenerentola ha dovuto lasciarsi dietro le pantofole per divertirsi.»

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