2. Felice anno nuovo

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L'amore è una cosa segreta, non si sa come avviene né perché.

Dino Buzzati


A dieci minuti scarsi dalla mezzanotte, mi ritrovo accovacciata in un angolino della scuola dimenticato persino dai topi. È tutto così gothic chic che quasi mi aspetto di vedere spuntare un vampiro con un'offerta di assicurazione sulla vita eterna. Ma invece di godermi l'atmosfera da romanzo Brontë, sto combattendo con un paio di scarpe più simili a una gabbia-trappola che a delle innocue calzature.

Quando finalmente me ne libero, tiro un sospiro, uno di quelli profondi, e mi lascio cadere contro il muro.

Avery è stata rapita da una specie di Adone in versione liceale, tutto muscoli e sorrisi abbaglianti. Un altro dei suoi numerosi adoratori. Non che mi importi. Ho colto l'attimo per dileguarmi e cercare rifugio lontano dagli sguardi curiosi e dalle chiacchiere incessanti.

In fondo, chi è Harper se non la sorella minore di Avery?

Sono circondata da bandiere sbiadite di vecchie vittorie sportive e poster motivazionali che, sotto il chiarore fioco, sembrano meno un'ispirazione e più un rimprovero. Ecosistemi di gioventù imprigionati in cornici di legno e vetro.

Dove il corridoio fa una curva, una ghirlanda di Natale ondeggia al passaggio di una brezza inesistente, quasi a ricordarmi che persino in un angolo desolato come questo può esserci ancora spazio per un po' di magia.

Il mio sorriso, un ricciolo di disincanto sulle labbra, è l'unica risposta al silenzio.

Ripenso all'anno che sta per concludersi, un collage di giorni tranquilli, così ordinari da poter essere appesi accanto a queste bandiere.

Mi vedo seduta al tavolo della cucina di casa, il legno consumato dal tempo che ha ascoltato migliaia di conversazioni. Papà è immerso nel racconto di una battaglia storica, mamma, con le sue mani abili, salva il gomito sgualcito di una camicetta con l'arte del rammendo. Le risate di Avery filtrano dal soggiorno leggere e musicali, come campane al vento. Il mio piatto è un'isola, pieno di cibo che spesso finisce per raffreddarsi mentre i pensieri vagano altrove. Mi unisco raramente al coro, e quando lo faccio è spesso per condividere un aneddoto trovato nelle pagine di un catalogo di francobolli o per chiedere il sale.

Sono lì, ma non completamente. Osservo, ascolto, assorbo.

E gli amici? Ho una lista più esclusiva di un club VIP in centro città – ma, ehi, quanti possono dire di poter contare su qualcuno che conosce la differenza tra un Penny Black e un Two Penny Blue senza cercarlo su Google? Siamo una banda, una specie di Avengers dei francobolli. Ok, le chat-room che frequento non sono il tipico posto dove ti aspetteresti di trovare una diciassettenne – che dovrebbe invadere i social con selfie o correre dietro al nuovo influencer di turno, suppongo. Ma chi ha bisogno di fare l'ennesima duck face quando si può scovare un francobollo raro che infiamma l'invidia degli intenditori? E poi, andiamo, i selfie non aumenteranno mai di valore nel tempo.

Lascio che gli occhi vaghino sulle pareti. Mi rannicchio un po' di più, stringendo le ginocchia al petto, il respiro un filo sottile tra le labbra. Un filo che si spezza e si riforma, si spezza e si riforma.

È in questi momenti che il segreto pesa di più. Un errore – e un dolore – che avrei dovuto portarmi nella tomba e che invece, per una beffa del destino, sono costretta a condividere con lui.

Il ricordo di quel giorno mi assale: la carta che scivola dalle mie mani tremanti, le parole stampate che si trasformano da innocenti lettere a messaggere di devastazione. Dylan era lì, per un motivo che ancora mi sfugge, testimone non solo della mia disperazione ma soprattutto della mia umanità nuda e cruda.

GeloWhere stories live. Discover now