4. Triste e celato da vesti fantastiche

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Lei aveva la pelle blu,
e così lui.
Lui continuò a nasconderla,
e così fece lei.
Cercarono il blu per tutta la vita,
poi si passarono vicini
e non lo seppero mai.

Shel Silverstein


I passi mi riecheggiano nelle orecchie mentre salgo i gradini del portico di casa.

Penso e ripenso a ogni parola scambiata con Dylan. È curioso come un'ora di poesia possa trasformarsi in qualcosa di così intenso da farti sentire come se avessi corso una maratona. In tacchi a spillo. Su un tapis roulant incerato.

Varco la soglia, getto le scarpe nel corridoio e mi faccio strada in cucina, dove mamma e papà sono già seduti a tavola, immersi in uno di quei dialoghi domestici che ruotano intorno a cose come la spesa e le bollette. È una tipica scena di tranquillità serale in Casa White, tranne per l'assenza di Avery. Il che significa che è barricata nella sua stanza a ripetere per il test di biologia di domani. Credo di aver visto passare più cartine di cellule e processi mitocondriali durante queste vacanze di Natale che in tutto il resto della mia vita scolastica. Avery si è trasformata in un'energica eremita delle scienze, affiorando solo per un'iniezione di caffeina ogni tanto o per condividere l'ultima curiosità sul DNA che, sono sicura, sarà la portata principale del prossimo pranzo di famiglia.

Il profumo del pollo arrosto mi accoglie come un abbraccio, ma la mia mente è ancora in quella maledetta stanza della biblioteca, con il pragmatico e cinico Gelo Lockhart che paragona la poesia a un vecchio film muto - tanto rumore per nulla, e senza nemmeno il colore per giustificarne l'attenzione.

«Harper?» La voce di mamma mi riscuote. «Sembra che tu stia cercando di ipnotizzare la cena. Tutto bene?»

Mi scrollo di dosso lo sguardo da "equazione irrisolvibile" e tento un sorriso.

«Sì, sto solo— pensando a un progetto per scuola. Niente di che.»

Infilzo un pezzetto di carne e mastico, mentre il cervello continua a elaborare. Dylan si è espresso con una tale passione che mi risulta difficile credere che parlasse solo di poesia. C'era qualcosa di più. Quel lampo nei suoi occhi, tutto quel discorso sull'oscurità. Come se stesse lottando contro qualcosa di molto più grande di Emily Dickinson e i suoi pennuti.

«Non pensi che a volte la scuola dovrebbe insegnarci cose più pratiche, papà?» chiedo all'improvviso, lanciando l'amo nella speranza di una conversazione che possa farmi sembrare meno assente.

Mio padre, sempre pronto a discutere di educazione, annuisce. «Certo, l'istruzione dovrebbe prepararci alla vita reale. Ma non sottovalutare l'importanza della letteratura. O della storia. A volte, le metafore sono gli attrezzi che ci aiutano a riparare i motori più complicati: quelli della mente e del cuore.»

Buffo. Anche Dylan ha parlato di motori. Mi domando se non sia lui, però, a dover aggiustare qualcosa dentro di sé.

Quando papà passa alla descrizione di come, proprio quella mattina, sia riuscito a riparare il tostapane, immagino Gelo intento a sistemare i pezzi di un ingranaggio invisibile, con le iridi chiare che mi sfidano a chiedermi: "Hai il coraggio di vedere oltre la mia superficie, Grumpy Cat?". Accidenti. Ogni volta che mi chiama così sento un tuffo al cuore, come se fossi davvero un gatto caduto in una vasca piena di pesci rossi - sorpreso, eccitato, e un po' in panico. Non che abbia mai visto un gatto in una vasca di pesci rossi, ma sono abbastanza sicura che sarebbe un bel casino.

Ho sempre pensato che l'attrazione fosse qualcosa di semplice, invece mi rivelo completamente incapace a interpretarne i segnali, che sembrano più articolati del codice fiscale di mia nonna.

GeloWhere stories live. Discover now