Capitolo 10

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Devo imparare a farmi i cazzi miei

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Devo imparare a farmi i cazzi miei.

Continuo a ripetermelo passo dopo passo, cercando di inculcarmi il messaggio così profondamente nella mente tanto da non dimenticarlo e finalmente prenderlo alla lettera.

Ma so già che questo non accadrà. Sono stato geneticamente creato per farmi i cazzi degli altri. C'è poco che io possa fare.

Questa zona della città non è una di quelle che Mallory dovrebbe percorrere da sola nel cuore della notte. Lei però non fa una piega, sembra perfettamente a suo agio e cammina come se conoscesse a memoria tutto di queste vie, come se fosse in grado di percorrerle anche ad occhi chiusi.

Non ne faccio una piega nemmeno io, perché come lei, conosco ogni angolo di questa città. Mi limito a camminarle accanto con le mani in tasca. Non ci sfioriamo nemmeno per sbaglio e ad entrambi va bene così.

Le strade sono illuminate solo dalle luci di alcuni lampioni mezzi scassati, le mura sono ricoperte di graffiti e in quasi ogni vicolo buio c'è almeno un tossico. Più di uno, in realtà. Non c'è bisogno che guardi per averne la certezza, lo so e basta.

Decido di rompere il silenzio perché la mia pazienza ha un limite e non riesco a stare zitto per troppo tempo. Questa è un'altra cosa per cui sono stato geneticamente creato: parlare fino allo sfinimento.

«Vieni spesso sola da questa parti?»

Potrebbe essere una domanda scontata, ma per esperienza personale ho imparato a non dare nulla per scontato, neanche una domanda, come in questo caso. E poi sono anche curioso di capire se è davvero fuori di testa come penso che sia.

Mi lancia un'occhiata, sta cercando di capire se la sto giudicando. O meglio, sta cercando di capire se sto giudicando sua zia. Decide che lo sto facendo, quindi contrattacca. «Potrei farti la stessa domanda».

È palese che si stia riferendo al mio passato, a quando nei vicoli bui c'ero io. A quando la persona che veniva cercata in giro ero io. Sono l'ultima persona che potrebbe permettersi di giudicare sua zia e questo lo sa perfettamente.

Ero un tossico, lo so io e lo sa anche lei. Negarlo non cambierebbe la realtà, non è qualcosa di cui vado fiero, ma non è neanche qualcosa che voglio cercare di nascondere. È il passato, non posso cambiarlo.

«No, non più», rispondo tranquillamente. Se pensava di mettermi in difficoltà, ha sbagliato di grosso perché è praticamente impossibile farlo e presto lo capirà anche lei.

Non mi aspetto che risponda, però mi lancia un'altra occhiata veloce e lo fa. «Più spesso di quanto vorrei», dice con voce sommessa, come se le costasse una fatica ammetterlo.

Continuiamo a camminare, lei in silenzio e sulla difensiva, ma anche in un certo senso disperata. Non c'è traccia di sua zia in giro e questo di certo non la tranquillizza.

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