7 - Il Bocca di lupo: parte 1

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Il Bocca di lupo si distingueva dalle altre costruzioni di Smallwick non solo per le sue notevoli dimensioni, derivanti dai suoi tre piani di altezza e dall'estensione laterale delle sue due ali, ma anche per via delle verdeggianti piante che si inerpicavano tra le levigate pietre dei muri. Erano proprio tali ornamenti naturali a regalarle un'atmosfera calda e accogliente a chiunque avesse desiderato varcare il robusto portone di ciliegio; una presentazione, tuttavia, in netto contrasto con la miseria che affliggeva la piccola città da solo gli antichi dèi sapevano quanti cicli lunari. Una lanterna era appesa all'arco di pietra che delimitava l'ingresso alla locanda, sotto alla quale oscillava senza interesse un piccolo cartello con su raffigurata, di profilo, la testa di un lupo con la fauci spalancate: l'emblema del Bocca di lupo.

Affacciata sulla via maestra, la locanda era avvallata a tal punto che le finestre piombate del primo piano si trovavano al livello del terreno, mentre un oblungo cortile si interponeva tra la facciata anteriore della costruzione e la stradina acciottolata. Un'apertura, delimitata da due sculture di pietra raffiguranti un lupo che ululava alla luna, permetteva l'accesso al trascurato giardino e un muretto a secco di pietra amaranto, basso quanto uno dei grossi tavoli della sala comune, lo racchiudeva al suo interno in una sorta di abbraccio. A collegare l'ingresso infossato del Bocca di lupo e la via maestra, infine, vi era uno stretto vialetto, ottenuto poggiando pietre piatte e frastagliate sul manto erboso che componeva il cortile, tagliando quest'ultimo in due parti pressoché simili.

Spostando di poco lo sguardo verso ovest si poteva notare uno stallaggio fiancheggiare l'ala più corta della locanda, casolare quadrato con copertura lignea dove i cavalli potevano alloggiare in piena comodità mentre forestieri giunti da terre lontane si rifocillavano o trascorrevano la notte prima di riprendere il lungo viaggio. La locanda, costruita intelligentemente all'ingresso di Smallwick, sembrava possedere tutto quel di cui uno straniero necessitava per poter narrare ai posteri di aver ricevuto un'accoglienza pregevole, se si escludeva la cordialità di chi gestiva tale luogo.

Mentre gli occhi degli ignoti visitatori andavano a poggiarsi sui profumati boccioli, cresciuti e fioriti oltre ogni più ottimistica previsione, il loro orecchio poteva già sollazzarsi al suono di un liuto sfiorato sapientemente dalle abili dita di alcuni bardi. Questi avevano iniziato a esibirsi alle prime luci dell'alba o, forse, non avevano mai smesso di farlo.

Seduta sul muretto di pietra che si interponeva tra il cortile della locanda e la via maestra, Emilia osservava con sguardo inquisitorio la costruzione mentre si godeva le allegre e distanti melodie che provenivano da oltre il portone d'ingresso. La strega iniziò a muovere il corpo in sintonia con la musica, una sequenza di note e accordi ai quali risultava difficile resistere, poi a far dondolare le gambe e, infine, a canticchiare in un qualche idioma magico che solo lei pareva conoscere. Le era venuto da domandarsi se i poveri bardi fossero costretti a suonare senza sosta a causa della maledizione o se lo facessero per alleviare il dolore che essa aveva portato nelle loro vite. Qualunque fosse stata la risposta, le loro melodie sembravano davvero in grado di allontanare dalla mente ogni pensiero o preoccupazione, trascinando l'ascoltatore in un vortice di suoni ed emozioni indescrivibili.

«Scoperto nulla di interessante?» chiese Emilia che, senza nemmeno voltarsi, aveva percepito Rudeus di ritorno dalla sua indagine in solitaria. «E dovresti imparare anche a celare meglio la tua presenza magica; ho avvertito il tuo profumo da diverse leghe».

«Continuo a sostenere che sia tu a essere troppo sensibile al potere magico» fece spallucce lo stregone. «Per quanto riguarda le indagini, ahimè, non porto novità significative; a parte che i popolani sembrano vivere in un stato di alienazione totale della mente, come se fossero fatti di giusquiamo. Voialtri? Avete delle novità per me?»

«Io? Mi sto godendo il pasto della nona Clessidra in compagnia della bella musica» replicò la strega, che poi sorseggiò la bevanda, dalla tenue colorazione dorata, raccolta in una coppetta di ceramica. «Debbo dire che non sanno preparare nemmeno un buon tè, nonostante le foglie di Camelia siano state importate dalle terre orientali di Alhmevia da oltre venti feste del raccolto. Non lo trovi inaudito?!»

I Reami di ChromaliaWhere stories live. Discover now