Verbi: sull'uso del passato remoto. La Crusca risponde

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«Quando ci riferiamo ad avvenimenti del passato, lontano o recente, noi possiamo percepirli o come collegati col presente o come separati da questo. Li sentiamo collegati col presente quando fissiamo l'attenzione sul perdurare dei loro effetti: "L'uomo è comparso sulla terra all'inizio dell'era quaternaria" (=è comparso e ci vive tuttora), oppure quando collochiamo eventi e azioni in una cornice temporale che include il presente: "Fin dai tempi più lontani (=dai tempi più lontani fino ad oggi) l'uomo ha sfruttato l'ambiente naturale". Avvertiamo invece eventi e azioni come separati, distaccati, dal presente quando li consideriamo nel loro compimento, e conclusi; non ne cerchiamo le tracce nel momento attuale, ma li collochiamo in un momento particolare del tempo già trascorso: "Quando l'uomo apparve sulla terra, era appena incominciata l'era quaternaria".

La scelta del passato prossimo e del passato remoto non dipende dalla distanza temporale degli avvenimenti; dipende dalla collocazione che diamo a questi rispetto al momento in cui ne parliamo e dal "punto di vista" dal quale li consideriamo, cioè dall'atteggiamento con cui percepiamo il passato. Usiamo il passato prossimo per esprimere un'azione compiuta o un accadimento che "lasciano tracce" (come diceva Giacomo Devoto) nel presente. Usiamo il passato remoto per manifestare il distacco, e quindi la lontananza, di tali avvenimenti dal momento in cui ne parliamo. Dobbiamo perciò intendereremoto nel suo significato etimologico di "separato", "staccato", "rimosso"; eprossimo come indicante vicinanza o attualità psicologica.

È naturale che i "legami" col presente si allentino più facilmente per gli avvenimenti lontani nel tempo e si mantengano più saldi quanto più questi sono recenti. Dirò: "Giulio Cesare morì nel 44 a.C." perché il fatto non mi appare in alcun modo collegato con la situazione in cui mi trovo a parlarne, e dirò: "Stamattina (ma anche 'ieri', 'due giorni fa') è morto il mio vicino di casa" perché sento come attuale l'accaduto, ne avverto le conseguenze, lo riporto alla mia esperienza soggettiva: conoscevo quella persona, ora non c'è più [...].

Le cose cambiano quando cambiano le circostanze della comunicazione e i tipi di testo che si vogliono produrre. In una narrazione obiettiva di eventi passati che non siano messi in relazione col presente né abbiano alcun collegamento con l'esperienza personale di chi parla o chi scrive (pensiamo, per esempio, all'esposizione di vicende appartenenti a epoche più o meno lontane, di biografie di personaggi storici ecc.) anche i non toscani ricorrono al passato remoto (o, in alternativa, al presente storico) nello scritto o nel parlato più sorvegliato.

Le risorse della lingua ci consentono di manifestare il nostro punto di vista su azioni e accadimenti: la scelta che facciamo dei tempi verbali rispecchia dunque le nostre valutazioni riguardo alla durata, all'ambito temporale, alla persistenza di effetti e risultati della azioni e degli eventi. Esserne consapevoli significa orientare al meglio le proprie decisioni» (Bice Mortara Garavelli, La Crusca per voi, n°2, p. 5).

Giovanni Nencioni (La Crusca per voi, n°6, p. 10), pone anche l'accento sull'aspetto diatopico del problema, ovvero sulla diversa distribuzione geografica della scelta fra i due tempi verbali, sottolineando come «l'alternanza del passato prossimo col passato remoto, nella lingua sia parlata che scritta, non è uniforme in Italia, perché vi influisce anche il sostrato dialettale dei parlanti o scriventi. Le migliori grammatiche dicono che nell'Italia settentrionale prevale l'uso del passato prossimo, nell'Italia meridionale l'uso del passato remoto, benché il passato prossimo vi acquisti terreno; in Toscana l'alternanza è tuttora viva e significativa».

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