Ignoto

7 0 0
                                    


Estate 1938. Isola di San Domino

"Che bella cosa, il mare" pensò Michele mentre osservava compiaciuto l'enorme distesa marina che lo circondava a trecentosessanta gradi, dandogli l'impressione di trovarsi in una piacevole prigione. Non era trascorso nemmeno un giorno da quando era sbarcato sull'Isola di San Domino, un piccolo paradiso nell'arcipelago del Mar Adriatico a largo delle coste pugliesi. Una fortuna incredibile, quasi inspiegabile, se pensava al motivo per cui era stato portato li.

Il pomeriggio precedente

Un insistente battere alla porta lo fece sobbalzare dal letto di camera sua, dove era intento a leggere una delle sue raccolte di poesie preferite. Allegria di naufragi, di Giuseppe Ungaretti, gli era stata procurata da un caro amico del padre, che aveva preso con entusiasmo la notizia dell'interessamento di Michele per "l'arte della rima". In lontananza, i suoni ovattati per la porta chiusa, sentì la madre cominciare a discutere con alcune voci maschili. Era almeno in tre. O quattro. Incuriosito e spaventato allo stesso tempo, aprì la porta a rallentatore, per non far rumore, quel tanto che bastava per cercare di capire cosa stesse succedendo. Ma proprio nel momento in cui mise fuori la testa, uno degli uomini che capì appartenere alla Polizia fascista, lo notò.

«Eccola li, la femmenella!». D'istinto, Michele tentò di richiudere la porta dietro di sé, ma la reazione del poliziotto fu immediata e, prima che il ragazzo riuscisse a chiudere a chiave, l'uomo era già entrato in camera sua. Subito dopo, sopraggiunsero gli altri tre. Con un gesto automatico, come se avessero vissuto quella scena un altro milione di volte, cominciarono ad aprire tutti i cassetti della stanza per poi buttare sul letto di Michele il loro contenuto. Maglie, pantaloni, mutande, calzini...tutto ammassato in una montagna stropicciata e irregolare.

«Hai cinque minuti per trovare un bagaglio e metterci dentro la tua roba» disse quello che sembrava essere il capo o, quantomeno, il più autoritario della mini banda. «Non un secondo di più». In silenzio, Michele cominciò a preparare la valigia, la testa e gli occhi costantemente abbassati. Sentiva la presenza della madre dietro di lui e non aveva il coraggio di guardarla in faccia. Si vergognava. Senza che ebbe la possibilità di rendersene conto, una goccia di pianto gli sfiorò appena lo zigomo, per poi infrangersi sul dorso della valigia color marrone carta. Fu in quell'istante che la madre gli si avvicinò e, con fermezza delicata, gli prese la mano.

«Ovunque tu vada e qualunque cosa tu faccia, niente può cambiare il fatto che tu sei mio figlio – gli alzò il mento e, prima di proseguire, si assicurò che lui la guardasse dritta negli occhi – e non proverò mai vergogna per questo».

Il ragazzo non riuscì a rispondere e si limitò a stringerla forte a sé. Le sue parole e quel contatto ravvicinato con la madre gli diedero l'impressione di averlo rinvigorito. Alzo la testa, fiero e risoluto e recuperò il bagaglio dal letto.

«Dove mi portate? – chiese rivolto ai poliziotti mentre li raggiungeva all'ingresso – E soprattutto: di cosa sarei accusato?». Di tutta risposta, i quattro poliziotti si concessero un accenno di risata che assunse il suono dello scherno.

«L'accusa ufficiale emessa dal Tribunale fascista è di "delitto contro la razza", se proprio ci tieni a saperlo» disse uno di loro. «Per quanto riguarda la tua destinazione, puoi stare tranquillo. Per quelli come te, è fin troppo. Ti portiamo sull'Isola di San Domino».

Era ancora stremato dal viaggio del giorno prima, cominciato nella sua Foggia e passato da Termoli, dove insieme ad un altro centinaio di uomini più o meno giovani era stato imbarcato verso l'isola. Ora, si trovava sullo Scoglio dell'elefante, un'imponente roccia chiamata così proprio per la sua forma a ricordare il pachiderma, la cui enorme proboscide piombava nelle profondità dell'Adriatico formando un arco naturale. In qualsiasi direzione guardasse, riusciva a distinguere i confini: da un lato, la sua amata Italia; dall'altro, il Regno di Jugoslavia. Il vento marino zampillava piacevoli schizzi d'acqua che gli inumidivano il viso e che gli causavano un misto di emozioni contrastanti. Il suo cuore provava infatti un lieve sapore di libertà ma, allo stesso tempo, uno strano senso di nostalgia lo spaventava, colto impreparato da un presente e un futuro che galleggiavano nelle acque tempestose dell'ignoto. Viveva nella speranza del ritorno ad una vita che non sapeva se avesse mai potuto riavere indietro. 

Cuore al buioWhere stories live. Discover now