Via dall'isola

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Sull'isola di San Domino, durante la sera la temperatura scendeva sempre di almeno 3/4 gradi. Una fresca brezza marina si infrangeva sul corpo del giovane poliziotto, asciugando le gocce di sudore che si erano formate sulla sua fronte. Per alcuni secondi, la sua mente viaggiò lontana da quella spiaggia, lo sguardo perso verso l'orizzonte, nel buio vuoto della notte. Poi, qualcosa catturò la sua attenzione. A circa cento metri da dove si erano nascosti lui e Michele, una luce lontana rischiarava lievemente quella parte di spiaggia, un leggero fascio di luce che donava alla sabbia un colore biancastro e proseguiva in mare fino a raggiungere una piccola imbarcazione che oscillava lenta, mossa dalle onde caute ma costanti dell'Adriatico. Da quella distanza non era in grado di raccogliere altri particolari, ma la forma della barca gli ricordò quella di un motoscafo. Un'idea improvvisa prese forma nella sua testa. Con cautela, come se avesse paura di svegliare Michele, si alzò e cercò di avvicinarsi, lo sguardo sempre guardingo e attento a captare eventuali presenze esterne. L'unico suono percepibile era quello del vento, che si mischiava caoticamente al suono della risacca delle onde. Quello strano mix di suoni gli metteva una strana agitazione e la sua fronte riprese a sudare, nonostante l'aria fresca. Una volta vicino al motoscafo, la prima cosa che notò fu lo stemma della Regia Marina, l'armata navale italiana. Appoggiato su un'ancora sospesa su un fianco dell'imbarcazione, un imponente falco dal piumaggio marrone scuro mostrava uno dei suoi due profili al giovane, scrutandolo con sguardo immobile e imponente. Rispondendo a quello sguardo, tanto suggestivo quanto capace di incutere timore, il poliziotto fu momentaneamente inghiottito dalla sua severità. Si impose di distogliere gli occhi dall'animale e notò una sfarzosa corona regale aleggiare sopra l'ancora e la testa del rapace, che ne aumentava la fierezza. Fu l'ultima cosa che vide, prima di schizzare via all'improvviso e al massimo della velocità, alzando dietro di sé una serie infinita di granelli di sabbia. Dalla spiaggia, ci volevano circa cinque minuti per raggiungere il Quartier generale della Marina, ma ne impiegò appena due. Un grande cancello color ferro anticipava l'ingresso nel grande cortile che portava direttamente all'entrata principale. I turni di guardia si svolgevano su tre fasce giornaliere, ma spesso e volentieri i sottufficiali incaricati si prendevano la libertà di lasciare il proprio posto di guardia. La vita sull'isola donava sicurezza a tutti, lontana dalle vicissitudini della guerra nelle quali erano impegnate l'Italia e le altre potenze del mondo. Approfittando di quella consuetudine, il poliziotto superò il cancello e raggiunse la piccola porta che dava l'accesso alla caserma. Appena dentro, a dargli il benvenuto fu un lungo corridoio apparentemente senza fine, formato da tante piccole stanze, una accanto all'altra. Cercò di assumere un comportamento rilassato ma formale, così da per dare l'impressione di essere lì in veste di agente e per ordine diretto di un superiore, non per interessi personali. Andò incontro all'unico militare presente in quel momento nel corridoio.

«Buonasera, Sergente» riconobbe il grado dalla divisa.

«Lei è?» rispose l'uomo guardingo, quasi sospettoso per quella visita ad un orario inconsueto.

«Vittorio Lorusso, membro della polizia fascista. Scusi se non mi sono presentato prima» disse allungando la mano, in un sforzo immane per non lasciar trapelare l'urgenza e la fretta con la quale intendeva sbrigare la faccenda. Il suo interlocutore rispose alla stretta con poca convinzione e attese che il giovane continuasse. «Ero di pattuglia nella zona e ho pensato di passare per adempiere ad un ordine del comandante. Ho una comunicazione diretta per il Tenente di Vascello Quarta».

«Capisco, vado a chiamarglielo. Attenda pure qui» rispose il Sergente con poca convinzione. Quando il Tenente spuntò da infondo al corridoio, vederlo da solo lo tranquillizzò momentaneamente. Non poteva assolutamente perdere tempo.

«Che diavolo ci fai qui?» disse l'uomo al poliziotto soffocando la voce per non farsi sentire. Il ragazzo non rispose. Con un movimento fulmineo prese il braccio di Quarto e lo trascinò fuori dalla caserma. Solo allora, si decise a parlare.

«Facciamo due passi...» disse con fare calmo ma risoluto, riuscendo con fatica a nascondere la gravità della situazione. Seppure con qualche lieve resistenza, il giovane impiegò giusto il tragitto fino alla spiaggia per convincere il Tenente ad aiutarlo nel suo piano. Con gesti delicati ma svelti, caricarono Michele sul motoscafo e partirono, alla volta di Termoli, dove avrebbero recuperato un auto per raggiungere l'ospedale di Foggia. In quel momento, il mare era piatto come il cielo e i due elementi si specchiavano l'un l'altro, assumendo come per osmosi la stessa tonalità blu scuro, che divorò l'imbarcazione e il suo piccolo equipaggio.

Cuore al buioWhere stories live. Discover now