È l'ora di andare via...!!

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Ho deciso e non torno indietro...

Mentre i miei occhi segnati dall'età si guardano intorno, la mia vita mi passa davanti come brevi atti di un'emozionante opera teatrale a tratti meravigliosa, a tratti dolorosa, ma comunque degna di essere stata vissuta in ogni suo singolo istante. Nonostante l'appartamento ormai spoglio e semivuoto, ad ogni suo angolo riesco ad associare un momento particolare della mia vita passata assieme a Vittorio e un sorriso naturale mi pervade inconsciamente. Poi, faccio sì che il mio cuore si impossessi della mente e mandi un bacio a tutto ciò che mi circonda. Così, dentro di me mi convinco che, d'ora in poi, questa casa sarà il custode infinito del nostro amore, di un sentimento semplice e genuino.

Prima di imbarcarmi, mi sfilo le scarpe e lascio che l'acqua si infranga sui miei piedi. È il mio modo per salutare San Domino e solo in quell'istante realizzò ciò che fino ad allora mi ero tenuto nascosto: non si tratta di un arrivederci, ma di un addio. Poi, una lacrima mi percorre il viso incanalandosi tra le rughe e cade, trasformandosi in goccia di mare. Trovo incredibile il fatto che qualsiasi decisione si prenda, per quanto positiva e giusta sia per noi, porterà comunque un minimo di sofferenza.

Non importa quanto corretta sia la scelta...in ogni caso, quella decisione comporta inevitabilmente la rinuncia ad altre milioni di possibilità.

Questi pensieri fatalisti mi ricordano quanto io sia invecchiato. Resto a scrutare l'orizzonte fin quando riesco a distinguere, anche solo in modo sfocato, i lineamenti della mia isola; quanto sei bella, San Domino. E così, con la malinconia che mi stringe il cuore, decido di riposare un po'. Una volta giunti al porto di Termoli, una marea di ricordi si fa strada nella mia testa e per un breve istante ho l'impressione che il tempo si sia fermato all'estate del 1939. Le immagini che riaffiorano sono confuse, una serie di eventi ai quali non riesco a dare un ordine cronologico, ma le sensazioni che provo sono chiare: pericolo, paura, panico. Non appena sceso a terra, vengo colpito dalla grande folla di persone presenti e il mio naso viene invaso dall'odore dei tubi di scarico delle macchine, talmente intenso da provocarmi un leggero senso di nausea. Non ne avevo mai visto così tante, tutte insieme. Pian piano, mi dirigo verso una piazzola piena di auto gialle messe ordinatamente una dietro l'altra e quando le raggiungo, tre sono già uscite dal porto con i loro clienti a bordo. Lascio che il quarto tassista carichi le mie valige nel baule e mi faccio accompagnare alla stazione dei treni di Termoli.

Di quel breve viaggio ricordo praticamente tutto, trascorso interamente ad osservare il mondo attraverso il finestrino e cercare di memorizzare ogni singolo elemento del paesaggio, che correva in direzione opposta alla mia. Una volta arrivato a Foggia, la prima sensazione che ricordo di aver provato è un profondo spaesamento; è come se sull'isola il tempo avesse deciso di mettere una pausa sul suo inevitabile passaggio mentre qui, nella mia Foggia, cambiava tutto. È così che, senza accorgermene, sono diventato straniero nella mia stessa città. Anche il viale dove si trova casa mia è cambiato: il panificio si è trasformato in un bar con una sala biliardo sul retro e frequentato da persone poco raccomandabili, mentre il piccolo spaccio all'angolo è diventato un inutile negozio di cianfrusaglie tecnologiche come giradischi, casse e televisori. Tutto questo mi disorienta e quando arrivo davanti alla porta di casa esito qualche secondo prima di infilare la chiave nella toppa per il timore di non riuscire ad aprire. Quando entro, vengo accolto da un sottile pulviscolo di polvere che mi fa starnutire per tre volte di fila. Mi aggiro per l'appartamento osservando nei minimi particolari ogni singola stanza, con la speranza di provare almeno un po' di familiarità ma, anche in questo caso, rimango deluso. Una delusione che sento crescere dentro di me, lenta ma inesorabile, che parte dai piedi fino ad arrivare alla mia testa e darmi un senso di stordimento. E proprio quando raggiungo camera mia, quella che è stata la culla della mia gioventù, le forze mi abbandonano improvvisamente e le mie ginocchia si piegano su sé stesse. In quell'istante realizzò che, per me, è l'ora di andare via. Sono due le immagini che trafiggono i miei occhi prima che il mio corpo abbandoni questo mondo: quella di me e Vittorio abbracciati, che vedo attraverso una piccola fotografia che tengo stretta nella mano destra e, in un'altra foto appoggiata sul comodino accanto al mio letto, quella di mia madre, felice, accanto ad un alto esponente del partito fascista. Nonostante questo, mi addormento definitivamente con un sorriso raggiante. Perché? Ora potrò riabbracciare l'uomo della mia vita e, allo stesso tempo, mia madre. Per le spiegazioni e i chiarimenti so che ci sarà tempo, destinato ormai ad una dimensione infinita e più equa di quella che sto lasciando.

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⏰ Last updated: May 06, 2018 ⏰

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Cuore al buioWhere stories live. Discover now