Prologo

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Plelio Allietante, detto Largosorriso, faceva l'assassino da ventidue anni. Ne aveva quindici la prima volta che, per denaro, aveva conficcato uno stiletto nelle costole di un uomo. Non che gli mancassero le capacità per guadagnarsi da vivere altrimenti, e neppure le occasioni, ma Plelio amava la vita facile e la richiesta di quel ricco mercante gli era parsa un'ottima opportunità per intascare qualche baiocco senza sudare.

Da allora gliene era passato di tempo e di sangue tra le mani, e tante erano state le lezioni imparate, una su tutte: un uomo che sta per morire urla come un maiale al macello.

Plelio era rimasto molto impressionato, le prime volte, da quelle grida, che più del sangue lo inchiodavano alla sofferenza e alle conseguenze delle sue azioni. Ma ci avevano pensato le monete d'oro a cancellare ogni remora e a farlo ingegnare per evitare che ogni volta la sua vittima vomitasse urla di dolore per quei pochi minuti d'agonia.

Così Plelio era diventato un Maestro Tagliagole, famoso per i larghi e mortali sorrisi che incideva sulle carotidi delle sue vittime, andando a recidere fino alle corde vocali: efficace, immediato e soprattutto silenzioso.

In quei ventidue anni aveva affinato la tecnica che lo aveva reso uno dei sicari più richiesti dell'Impero e, ovviamente, uno dei più pagati.

Quella sera, però, avrebbe dovuto mettere da parte il suo pugnale. Il cliente era stato chiaro: niente spargimento di sangue. I lavori puliti non erano proprio il suo forte, ma se pagati sufficientemente bene non faceva lo schizzinoso. E stavolta non si trattava solo di un lavoro ben pagato, ma anche piuttosto semplice.

Era la solita questione di denaro, e del resto erano sempre e solo tre i motivi per cui lo assoldavano: denaro, potere, corna. Stavolta un nipote stanco d'aspettare voleva anticipare l'eredità della vecchia e arzilla zietta.

Non doveva neppure fare la fatica di forzare una serratura: il nipotino, prima di uscire, gli aveva lasciato aperta la finestra più accessibile del palazzo. E anche trovare la stanza della donna si rivelò più facile del previsto: gli bastò seguire il raglio d'asino che la zia emetteva durante il sonno. Russava talmente forte che non dovette neppure preoccuparsi di muoversi silenziosamente.

Entrato nella camera, si stupì di tale mancanza di grazia da parte di una veneranda signora che appariva così elegante persino nel sonno. Ma non andò oltre nelle sue considerazioni: fermarsi a elucubrare sulla vittima era il primo passo verso la fine della carriera di ogni assassino.

Per questo, senza indugiare, afferrò un cuscino d'arredo ai piedi del baldacchino e con misurata violenza lo premette contro il volto della donna.

Sentì il corpo della vecchia irrigidirsi sotto la sua presa, nel vano tentativo di produrre una spinta sufficiente ad allontanarlo. Le mani cominciarono a volteggiare senza controllo, cercando alla cieca di aggrapparsi alla vita, mentre un rantolo d'aiuto arrivava soffocato da sotto la stoffa.

Plelio sorrise di quel ghigno cinico di chi, con poco sforzo, guadagna molto, e contò mentalmente fino a trenta. A quel punto l'ossigeno avrebbe iniziato a scarseggiare e la resistenza della vittima a farsi meno convinta.

Ma la zia pareva invece sempre più furiosa.

Arrivò fino a sessanta, e ancora la donna non mostrava segni di cedimento.

Superò i cento e le braccia della vecchia iniziarono a vorticare con più precisione, arrivando a graffiargli il volto.

Aumentò la pressione, il sorriso ormai scomparso dal volto. Duecento e il più stanco dei due sembrava lui.

Fu alla soglia dei trecento che la mano chiusa a pugno della zia arrivò a cozzare, fortuitamente ma con energia, contro il suo occhio destro, procurandogli un tentennamento più che sufficiente a fargli perdere la presa e a lasciare campo libero alla nonnetta.

Che in quella situazione ci fosse qualcosa di stonato era evidente, ma l'assassino era troppo concentrato sul suo lavoro per fermarsi a fare una qualunque riflessione. La donna stava per urlare e lui non poteva permetterselo. Facendo appello a tanti anni d'esperienza, mise in disparte le istruzioni del cliente e impugnò il coltello. L'obiettivo era fermo, la gola sguarnita: sarebbe bastato un affondo, un gesto circolare da sinistra a destra, e tutto sarebbe finito.

E il gesto arrivò, preciso e rapidissimo. La lama, affilata a nuovo poche ore prima, penetrò nella carne e la attraversò per mezza lunghezza, quindi scivolò veloce in un movimento longitudinale sicuro e spietato.

Lo sguardo della vecchia lo attraversò con orrore mentre le mani correvano alla gola e il pugnale già fuggiva via. La morte l'avrebbe raggiunta a momenti, ma indomita la bocca si aprì comunque in un grido. E con sommo stupore di tutti la sua voce prese forma in un urlo disperato e rabbioso.

Ben più si stupì Plelio quando la donna tolse le mani dalla gola e neppure un graffio scheggiava il suo collo.

La vaga consapevolezza d'aver fallito per la prima volta in vent'anni lo sfiorò, un pensiero fugace che divenne un tuffo dalla finestra e un balzo su un paio di tetti fin sulla strada.

Ma non era la sua sera fortunata. Proprio in quel momento un gendarme faceva ronda in quel vicolo.

Odiava uccidere fuori contratto, ma il suo coltello era sempre pronto a gestire gli imprevisti. Senza neppure rallentare la corsa, si lanciò sull'uomo e gli lasciò il pugnale nella giugulare.

Ma quello, invece di stramazzare al suolo, si strappò il coltello dalla gola e restò a fissarlo incredulo. Anche Plelio era incredulo: dalla ferita non era uscita una sola goccia di sangue.

Urlò e corse con tutta l'energia della paura. Sembrava proprio che quella notte la gente si rifiutasse di morire.

Quando la Morte è in vacanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora