Epilogo

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È inverno.

Non c'è altro da sapere.

Dove ci troviamo, in che epoca, in quale frammento del continuum spaziotemporale, è assolutamente irrilevante. Così come non importa il nome di queste terre, se esse siano governate da uno spietato dittatore o da una lungimirante democrazia, oppure abbandonate a loro stesse.

Immaginatele come preferite poiché, qualunque forma deciderete, essa sarà parte del tutto voluto dall'Uno. E come tale in essa Morte avrà perenne giurisdizione.

Solo questo è essenziale: un freddo, crudele e bianco inverno.

Sulla strada la neve si è accumulata abbondante sin dalle prime ore della notte e ora, in questa mattina ancora orrendamente buia, forma un tappeto uniforme quasi impossibile da attraversare. Eppure alcune orme macchiano l'immacolato manto, piccole, ravvicinate, in alcuni punti deformate da scivoloni e dalle forme più ampie e irregolari d'improvvise cadute.

Seguendo queste vistose tracce sarebbe facile per chiunque scovarne l'origine, ma nessuno in questo momento attraversa la piazza, così come nessuno probabilmente l'attraverserà nelle prossime ore.

È una tempesta di neve davvero furibonda.

Eppure queste orme sono qui, sebbene ancora per poco, poiché la loro proprietaria, come ogni mattina, ha intrapreso il lungo cammino che la porta dalla sua povera casa di periferia a questa piazza ai bordi del ricco centro città.

Al suo risveglio, vista l'imponente nevicata, avrebbe volentieri evitato di presenziare a quest'angolo trafficato, ben presagendo che pochi si sarebbero avventurati fuori casa, ma suo padre è stato dell'avviso contrario, e pur di evitare il bastone lei ha ubbidito.

Non ha neppure dieci anni, ma già da tre, alle prime avvisaglie di freddo, si posiziona su questa piazza per vendere piccole scatole di fiammiferi. Sono oggetti preziosi, che lei stessa fabbrica con le sue mani durante i mesi più caldi, e che i ricchi mostrano di gradire. Raramente infatti torna con la saccoccia vuota, e ciò è una benedizione poiché è l'unica in famiglia a portare a casa il denaro necessario a pagare l'affitto e a comprare il pane.

Motivo per cui il padre, che col proprio misero stipendio si paga appena le pinte di birra alla taverna, non le fa saltare un giorno, che sia sana o malata, col sole, col vento o con la neve. Ma oggi, in tutta onestà, sarebbe stato più saggio tenerla a casa.

Perché ora la povera bambina, seduta su un gelido mucchio di neve, si stringe nei miseri stracci con cui si è coperta, anch'essi velati da una spessa coltre bianca, e batte i denti incapace di controllarsi. Eppure tende la mano con la scatola di cerini verso inesistenti clienti, mentre il sangue ormai rallenta nel suo esile corpo.

Insomma, non è certo nulla di nuovo ciò cui stiamo assistendo, la sorte crudele che troppo spesso colpisce gli ultimi, in qualunque frammento del continuum spaziotemporale. Non ci sorprende, quindi, che Morte sia nascosta in un angolo buio della piazza, in attesa che la Trama si compia e che il Destino della bimba volga al termine.

«Sapevo che mi stavi aspettando» dice tranquilla la bambina, quando infine appare al suo cospetto.

«Lo so» conferma Morte. «Ma non per il motivo che credi ti attendevo.»

«Per cos'altro, allora?»

«Per restituirti ciò che ti hanno tolto. Torna indietro e sarà come se non ti avessi incontrato.»

La bambina pare disorientata. «Indietro dove?»

«Alla vita.»

«Quale vita? Non posso sopravvivere a questa tormenta.»

«Lo farai, perché oggi io non tornerò a prenderti» risponde serafica Morte.

«Se non morirò oggi, lo farò domani.»

Morte si china per portare il suo scheletrico volto all'altezza della bimba. «Oggi ho scelto di cambiare il tuo Destino. Se farai lo stesso, non ci incontreremo più per molti anni ancora.»

La bambina sembra titubante, forse vorrebbe chiederle come fare, ma comprende da sola che deve trovare quella risposta dentro di sé.

«La libertà è libero arbitrio, ma non c'è libero arbitrio senza libertà» la saluta Morte mentre riprende possesso del suo corpo.

La bambina è scossa da un fremito e la neve che copre i suoi abiti cade al suolo. È stato un sogno bizzarro, inquietante ma rassicurante allo stesso tempo.

Comprende quanto inutile e pericoloso sia restare in quella piazza. Si avvolge meglio nei suoi stracci e si avvia. Per la prima volta si dirige verso il centro città lungo una nuova strada.

Morte, dal suo angolo buio, la osserva allontanarsi, annuendo a ogni singolo e debole passo.

«Come ti senti?» le chiede il Tristo Roditore, sul luogo per raccogliere diversi topi vinti dalla rigidità di quella notte.

«Completa» risponde Morte riprendendo in mano la falce.

«E adesso?»

«Temo avesse ragione, potrei farci l'abitudine.» Si affianca al collega e insieme si dirigono verso la luce. «Mi hanno detto che, nonostante tutto, non te la sei cavata poi così male. Se avrò bisogno d'aiuto adesso so a chi chiedere.»

Il Tristo Roditore dà un'alzata di spalle.

«Se serve a non farti andare più in vacanza» sospira sparendo nello splendore ultraterreno.

FINE

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