7. I piccioni

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Infilò la mano nel sacchetto e lanciò l'ennesima manciata tra i ciottoli del selciato. Subito lo sciame di uccelli si precipitò sulle ghiotte molliche, formando ammucchiate confuse e sgraziate, dalle quali solo i più caparbi uscivano con un ricco bottino.

In tutto quel tempo Morte aveva imparato a riconoscerli. Il più determinato era un maschio paffuto dalla testa blu screziata di grigio, e con gli occhi rossi più fissi del normale. Lo aveva chiamato Vendetta, perché se qualcuno osava prendergli le briciole più grosse gli picchiettava sul cranio finché non mollava la presa. Sospettava fosse il capobranco, ammesso che i piccioni ne avessero uno.

La sua preferita però era Agonia, una giovane femmina rachitica che se ne stava sempre in disparte, in attesa che uno tra i suoi compagni perdesse qualche briciola, generalmente dopo i colpi inferti da Vendetta. Un destino che le rammentava il proprio, sempre in attesa delle avversità altrui.

Aveva riflettuto parecchio sul suo ruolo nelle Trame del Destino, durante quelle lunghe giornate passate a lanciare pane ai pennuti, e pensava d'aver compreso la vera fonte del suo malessere, sempre che potesse definirsi tale. Il problema non era lo stregone, e neppure quei disgraziati umani.

Il problema era lei.

Infilò la mano nel sacchetto che, arrivando dalle cucine dell'Uno, possedeva una scorta infinita di briciole, ed elargì l'ennesima abbondante manciata.

Ne seguì un'altra, proveniente però da un sacchetto diverso dal suo.

Morte gettò uno sguardo alla sua sinistra: un vecchio dall'aria umile, ma dignitosa, era seduto sugli stessi gradini, poco più in là. Il suo corpo era rotolato ai piedi della scalinata, per un infarto.

«Posso finire di dargli da mangiare?» le chiese educatamente, facendo un cenno verso i piccioni.

Se non fosse stato impossibile, Morte sarebbe apparsa in lieve imbarazzo: «Oh, beh, sì... faccia. Non sono qui per lei».

«Ah no?»

«No, sono in... pausa.»

Il vecchio sorrise. «Mi prende in giro? Allora perché sono morto?»

«Non lo chieda a me, non sono io a decidere.»

«E chi allora?»

«C'è un gruppetto di arzille signore che tesse destini da un'eternità.»

«Adesso sì che mi sta prendendo in giro» affermò sicuro l'uomo.

«Le sembro il tipo?»

Il vecchio diede una scrollata di spalle e lanciò una manciata di briciole. Le sue, ovviamente, non arrivavano a toccare terra.

Morte si soffermò a studiarne i gesti: una serenità disarmante traspariva da quei movimenti, soprattutto dal suo viso.

«Non ha paura?» gli chiese in un moto di genuina curiosità.

«Di cosa, di lei?»

«Beh... sì.»

«Perché dovrei? Vederla qui, anzi, mi dà conforto. Ora ho la certezza che non tutto ha fine con il mio corpo.»

Morte ebbe la sensazione di non aver mai riflettuto su quello: in effetti per loro nulla di ciò che li attendeva nei Regni dell'Uno era scontato.

«Eppure quasi tutti al mio cospetto si disperano.»

«Perché sentono di avere ancora uno scopo in vita e non la vogliono lasciare.»

«Lei non ce l'ha questo... scopo?»

«Ciò che desideravo l'ho avuto, e alla mia età non restava altro da chiedere, se non un po' di ristoro dai reumatismi. E ora ho ottenuto anche quello!»

Morte rifletté su quelle parole. Credeva di sapere cosa fosse uno scopo; il suo, ad esempio, era accompagnare le anime dei morti verso l'Aldilà. Ma quell'uomo ne parlava come fosse un oggetto mitologico.

«Non capisco. Allora perché a lamentarsi di più sono le persone con i lavori più gratificanti, più importanti?»

Il vecchio scoppiò in una risata sincera, che poi trattene per paura di averla offesa.

«Ma un lavoro raramente è uno scopo, così come l'ho inteso. Noi non siamo piccioni, non ci basta mangiare briciole per volare» e accompagnò le parole con un nuovo lancio d'inconsistenti molliche.

Morte lo osservò senza comprendere e per quanto il suo volto fosse inintelligibile il vecchio dovette percepire la sua difficoltà e aggiunse: «Agli uomini non basta sopravvivere per sentirsi vivi. Non è di te che hanno paura, ma di ciò che rappresenti».

«La loro fine.»

«No, il loro fallimento.»

Finalmente cominciava a capire. In fondo anche lei sentiva il peso del fallimento incomberle addosso, come se tutto quello non fosse più sufficiente. Aspettare all'ombra con la falce in mano, pronunciare frasi di rito, accompagnarli verso la luce: c'era un vuoto in tutto quello che la stava consumando, inaridendo, trasformandola in nulla più d'un concetto astratto. O forse stava iniziando a empatizzare troppo con gli umani.

Lanciò un'altra manciata di briciole divine ai suoi amici pennuti. Agonia, colta da un impeto d'orgoglio, si gettò sul boccone più grosso e volò via senza lasciare il tempo a Vendetta e gli altri di soffiarle la preda.

«Ora possiamo andare.»

Girò la testa verso il vecchio, che si era alzato in piedi e l'attendeva.

«Gliel'ho già detto, non sono qui per lei.»

«Allora cosa dovrei fare?»

Morte condivise lo spaesamento dell'uomo. Dov'era il suo sostituto? Avrebbe dovuto essere lì da un pezzo per non compromettere il distacco. Poi le venne un dubbio e cercò il corpo dell'anziano. Un capannello di persone gli si era fatto intorno e un giovane sembrava impegnato nel tentativo di salvargli la vita.

«Forse non è ancora il suo momento» gli disse portando la sua attenzione sulla scena.

«Oh, questa non me l'aspettavo. Mi toccherà sopportare ancora un po' i reumatismi» commentò tornando verso il suo involucro terreno. «Grazie della chiacchierata e arrivederci.»

«Grazie a lei» ricambiò Morte cercando un sorriso.

Riprese con inalterato entusiasmo a sfamare i piccioni, mentre dentro le cresceva insistente un tarlo. L'apparizione del Tristo Roditore cancellò ogni pensiero: aveva un'espressione stravolta dipinta sul muso inespressivo. Mutò in terrore quando nel mondo dei vivi il vecchio si mise a sedere tra gli applausi degli astanti.

«Ti prego, ritorna» la supplicò.

Quando la Morte è in vacanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora