3. L'Uno

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Egli era.

Era l'enigma e la risposta.

Era l'infinitesimo e l'infinito.

Era il principio, la fine e il tutto.

Egli era l'Uno.

Nulla è stato prima della sua vibrazione, tutto avviene durante la sua eternità. Con molti nomi gli uomini hanno dato forma alla sua idea, ma egli non possedeva nome, poiché era impossibile definire a parole il pensiero che ha generato le parole stesse.

Gli abitanti di Eudopia, ad esempio, erano soliti rivolgersi a lui con l'appellativo di Abàtar, che in antico idioma significava "Colui che è stato il primo", ma nessuno degli Equilibri che componevano l'Esistenza aveva mai usato questo o altri appellativi. Per essi era semplicemente il Signore, l'Uno. A dire il vero non avevano mai utilizzato neppure le parole per porgli i loro quesiti, né tanto meno condiviso con lui stanze o pasti, poiché non avevano corpi cui dare ristoro.

Ma poiché risulterebbe difficile per le nostre menti limitate comprendere i fatti di cui si narra mantenendo fede alla loro natura sovraterrena, immaginate l'Uno mentre percorre ampi cerchi nel suo ufficio oltre il nono piano dell'Esistenza, lassù nell'alto dei cieli.

Ad attanagliarlo v'era un tormentoso dilemma, sebbene questi stati d'animo umani siano vuoti assiemi di lettere se applicati a lui. (E sia chiaro, utilizziamo il maschile solo per concordanza di genere con il nome Uno).

Con lui c'era Serafino, uno dei più influenti Equilibri dell'Esistenza e tra i suoi più fidati segretari. Figuratevelo pure, per mera comodità, come un giovane dai tratti adolescenziali delicati e femminei, visibilmente a disagio in un vestito di taglio sartoriale molto elegante.

«Signore, perdonate se mi permetto, ma forse vi state preoccupando per una sciocchezza, in fondo non capita di rado che le anime umane preferiscano restare...»

«Preferiscano, tu lo dici. Ma qui non c'è stata una richiesta, è stata una nostra dimenticanza. E per fortuna il distacco è comunque avvenuto.»

Serafino si passò un dito dentro il colletto, nel vano tentativo di allargare il nodo alla cravatta. «Signore, non la chiamerei fortuna, ma un'ottima gestione degli imprevisti. Il recupero, sebbene fuori sincrono, è stato comunque tempestivo.»

L'Uno tornò a sedere sull'enorme poltrona che dominava l'ambiente, facendo apparire la scrivania poco più di un poggiapiedi. «Non discuto il risultato, ma la dimenticanza. Quella c'è stata, non possiamo negarlo.»

«No, Signore.»

«Non era mai accaduto prima... e non voglio si ripeta. Vai a chiamarla.»

Serafino fece un leggero inchino e senza aggiungere altro uscì dalla stanza, lasciando l'Uno immerso in riflessioni di portata trascendentale.

Difficile dire quanto tempo passò, dato che l'Uno era oltre il tempo e lo spazio, ma a ogni modo non fu un'attesa lunga. Del resto Morte prevedeva quella chiamata.

Quando entrò nell'ufficio, il cappuccio sollevato e afflosciato sulle spalle, una sigaretta stretta tra i denti, le mani nelle tasche, il passo deciso, lasciavano intendere una sicurezza controllata. Ma un attento osservatore avrebbe notato le microscopiche oscillazioni della sigaretta, a svelare un impercettibile quanto nervoso movimento della mascella.

«Ti prego, spegnila» disse l'Uno senza alzarsi.

Morte afferrò la cicca tra le dita e la fece sparire.

«Tu sai, vero?» chiese con il tono di chi non ha bisogno di fare domande.

«Certo» rispose Morte, con lo stesso identico tono.

«Come...»

«Un errore mio, Signore. Non ci sono altre spiegazioni.»

«Tu non puoi commettere errori.» Pareva un rimprovero rivolto a se stesso, al creatore che si rammarica per le azioni della sua creatura.

«Signore, non cerco giustificazioni, ma... quello stregone sta mettendo in crisi molte delle nostre regole, gioca con le Trame del Destino, destabilizza gli Equilibri dell'Esistenza e interferisce con... Me!»

L'Uno si strofinò gli occhi fino a stringere il setto nasale tra il pollice e l'indice, in un gesto di rassegnata concentrazione, tipico di chi cerca una soluzione inesistente. «Lo sai bene che abbiamo le mani legate. Ho dato loro il libero arbitrio proprio per questo, se ora intervenissi tutto andrebbe sprecato.»

Morte scosse la testa, senza il minimo timore di mostrare il suo disappunto: «Signore, io conosco bene gli uomini, forse li conosco meglio di lei e, mi perdoni la franchezza, non hanno speranze. Questo esperimento può solo finire male, e quel Malachia è la dimostrazione più evidente mai avuta».

L'Uno conosceva l'opinione di Morte e, sebbene non l'avesse mai condivisa, la lasciò parlare.

«Con gli altri animali tutto funziona bene, nessuno dei miei colleghi ha mai avuto problemi, tutto va secondo le regole senza il minimo scossone. Ma con gli uomini... C'è sempre qualche novità, qualche imprevisto, che si moltiplicano in presenza di uno stregone» continuò Morte, che ormai pareva aver aperto il vaso di Pandora. «E vogliamo parlare dell'ingratitudine? Signore, le posso contare sulle dita delle mani le volte che uno di quegli irriconoscenti mi ha ringraziato per averlo accompagnato verso la sua Vibrazione. Dico, non sono mica io che li ammazzo! Eppure tutti a chiedere pietà, a buttarsi in ginocchio, neanche poi li portassi via da chissà cosa; i più son poveracci che fanno la fame. E vogliamo parlare degli insulti? Sa qual è la parola che sento pronunciare più spesso dalle loro labbra?»

«Sì, lo so» rispose l'Uno, che in quanto tale sapeva tutto.

«E allora non credo ci sia da aggiungere altro» sentenziò, per poi aggiungere: «Io sempre a sprecarmi in 'benvenuti' e 'buongiorno', a cercare di fare la gentile perché, insomma, lo capisco che è un momento difficile e che può essere scioccante vedermi, e loro? Cosa fanno loro?»

«Credo che tu abbia bisogno di una vacanza. Due o tre giorni di riposo» sentenziò l'Uno per arginare l'arringa.

Ottenne, in effetti, un frammento di colpevole silenzio.

Morte strinse i denti. «Sì, ha ragione, Signore» e si avviò verso l'uscita. Ma prima di aprire il portone si voltò: «Ma come farete a...»

«Ti troverò un sostituto.»

Quando la Morte è in vacanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora