1. Lo stregone

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La gente odiava morire durante le belle giornate.

E quella era una dannatissima stupenda giornata di primavera, con un tiepido sole prossimo al tramonto, allegri stormi di rondini nel cielo blu topazio, prati verdi, fiori profumanti e tutta quella stucchevole meraviglia che solo giornate così potevano avere. Compresi i leprotti che saltavano tra i cespugli più fitti.

Morte provava una sana indifferenza per i leprotti, così come per i fiori, le rondini e tutto il resto. Ma messi tutti insieme le procuravano una sorta di prurito alle mani che gli uomini avrebbero definito odio.

E la colpa non era certo di lepri, margherite e uccelli migratori, ma per l'appunto degli uomini, che parevano particolarmente restii ad accettare la loro condizione mortale in giorni di tal fattura.

Ma c'era qualcun altro che, sebbene non stesse per morire, iniziava a provare nei confronti di quel magnifico giorno un profondo rancore. Il suo nome era Malacchio de' Linacchi, ma ai più era noto come Malachia l'Ombroso. Lui, invece, amava presentarsi come: Malachia, lo stregone che ha inventato la magia.

Se ciò non fosse sufficiente a delineare i tratti essenziali del personaggio, si può aggiungere che era colto, ma rozzo e volgare, oltre che piuttosto bruttarello; di carattere infido e schivo, ma mutevole, tant'è che in presenza di sottane si faceva socievole e lascivo; ed era in effetti un maestro nelle arti magiche. Non che le avesse inventate lui, dato che la magia era le fondamenta stesse dell'Eudopia, ma da tempo gli uomini avevano dimenticato come domarla e l'avevano ormai etichettata come mito. Poi era giunto Malachia, a ben vedere primo da che memoria d'uomo concepisse, e aveva distrutto quell'etichetta con un'enorme palla di fuoco. Se a questo aggiungiamo che discendeva da due ricche e nobili famiglie, il cui patrimonio congiunto avrebbe potuto sfamare per un paio di generazioni un'intera cittadina, risultava davvero difficile immaginare cosa lo turbasse al punto da rovinare una giornata di tale splendore.

O meglio, risultava difficile per un comune mortale. Ma Morte sapeva benissimo che i malumori dello stregone erano legati a doppio filo ai suoi.

Tutto aveva avuto origine da una fissazione che Malachia aveva ereditato dal padre: raggiungere l'immortalità.

Gran parte degli studi e degli sforzi magici compiuti dall'uomo erano infatti volti a questo pretenzioso traguardo, secondo soltanto alla conquista del dominio assoluto sul mondo. Ben conscio però che il potere in sé non era nulla senza la possibilità di goderselo per un numero di anni il più possibilmente tendente a infinito, Malachia dedicava molto del suo tempo agli esperimenti sull'immortalità.

Il problema era che sperimentare metodi per vincere la morte implicava solitamente ammazzare qualcuno. E siccome finora gli esperimenti erano tutti puntualmente falliti, ecco spiegato il motivo per cui Morte era spesso spettatrice di tali nefandi spettacoli.

L'ultimo dei quali si stava tenendo proprio quel giorno.

Di solito funzionava così: quando Malachia aveva sottomano una qualche nuova formula che pensava utile al "progetto immortalità", organizzava una festa in una delle sue magioni, distribuendo inviti nei sobborghi più poveri e malfamati delle vicine città dell'Impero. Puntualmente si presentavano ai cancelli una ventina di scrocconi e derelitti pronti a godersi il lauto banchetto. Non andavano però oltre il brindisi di benvenuto, dato che alla birra annacquata era addizionato un potente sonnifero. A quel punto i due servitori di Malachia, che erano anche i primi adepti della sua nascente scuola di magia, si occupavano di legare i malcapitati, avendo cura di rinchiudere nelle segrete le giovani più avvenenti, che il Maestro preferiva usare per altri scopi.

Il quel momento Morte stava osservando sedici disgraziati a cui il destino aveva voltato le spalle, ammonticchiati come sacchi di patate in un angolo del giardino.

Malachia e i suoi tirapiedi erano invece impegnati a raddrizzare un accrocco di travi che ricordava vagamente un patibolo per l'impiccagione, sulla cui sommità era fissato un gancio e sotto cui lo stregone in persona stava per riporre una piccola anfora di terracotta.

«Appendetene uno» disse ai suoi quando fu convinto che la struttura potesse reggere.

I servitori si avvicinarono al mucchio, ma prima che potessero mettere mano sul primo disperato, questi si rizzò in piedi e corse come un puledro verso l'alto muro di recinzione. Evidentemente aveva bevuto poco e i nodi non erano così stretti. I due, che atleticamente non erano all'altezza, provarono un timido inseguimento, ma il prigioniero raggiunse le mura prima che potessero fare tre passi.

Probabilmente, in un'altra occasione, l'uomo avrebbe scalato la parete con estrema facilità, ma al padrone di casa bastò sollevare un dito e pronunciare flebili parole perché un raggio di energia elettrica violacea serpeggiasse dalla punta dell'unghia fino alla schiena del poveretto, che cadde a piombo in una nuvola di fumo nero.

«Controllate se è ancora utilizzabile» ringhiò tutto il suo disappunto lo stregone.

Morte, al contrario dei due servi, non aveva bisogno di controllare: «Vieni, Samerio, ti condurrò per...»

«No, ti prego, no» supplicò quello gettandosi ai suoi piedi. «Non uccidermi, ti prego.»

«Guarda che sei già...»

«Mi aspettava una giornata così bella, calda, un pasto sontuoso» piagnucolò.

Morte si grattò la testa. «Ti capisco, ma non posso farci nulla, è il mio lavoro.»

«Sei ancora in tempo, risparmiami, ti prego.»

«No, senti, non hai capito, tu sei già...»

«Pietà» gridò l'uomo al culmine della disperazione.

Morte avrebbe voluto gli occhi per poterli alzare al cielo: e quello era solo il primo di sedici.

Quando la Morte è in vacanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora