2. La Morte

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La falce riverberava di rosso ai raggi del sole calante. Pareva insanguinata. Come facesse a riflettere la luce del mondo dei vivi era in effetti un mistero, ma né lei, né tanto meno le anime affidate alla sua benevolenza, si erano mai poste il problema.

Di certo, in contrasto al meraviglioso tramonto che stava dipingendo la vallata, la sua sagoma nera sormontata da quella sanguinante mezzaluna era oltremodo inquietante. E le vittime di Malachia non si trattenevano dal sottolinearlo.

«Pietà, pietà, non mi uccidere.»

«Gonzalo Tiberni, tu sei già morto» tentò di spiegare, facendo appello al suo sovrannaturale aplomb.

«Ti scongiuro, farò tutto quello che vuoi, tutto.»

«No, senti, non hai capito. Non posso ucciderti, sei già morto.»

«Morto? Io?» Il signor Tiberni era in effetti piuttosto confuso.

«Guardami, chi credi che io sia? Adesso per favore calmati e mettiti con gli altri, vi condurrò tutti per l'ultimo tratto.»

«Vuoi dire che questo è l'ultimo tramonto che vedrò?» chiese con le lacrime che iniziavano a solcargli il volto.

«Sì, sul mondo terreno è...»

Ma non ebbe il tempo di finire, l'uomo scoppiò in un pianto disperato, seguito a ruota a una corpulenta matrona.

«Signora Duepiazze, non ricominci, avevamo già chiarito, no?»

Anche questa volta non ci fu il tempo di completare il discorso, una nuova anima fece la sua comparsa: era la nona.

«Benvenuto Gaudio Ascani, vieni, ti condurrò...»

«Per Babuz, ma quanto ho bevuto?»

Morte fece una pausa, che i più audaci avrebbero anche potuto definire incertezza.

«Non ricordavo che era una festa in maschera» continuò il giovane. «E cavolo, il tuo costume è proprio da urlo.»

Morte crollò il capo, sconsolata: «Non è un costume» disse aprendo il bavero della tunica tanto da scoprire parte del costato.

Anche il ragazzo scrollò la testa, come per scacciare un pensiero o un'immagine. Poi, non soddisfatto, avanzò di due passi e allungò una mano fino a infilare due dita tra la seconda e la terza costola.

A quel punto, in effetti, urlò.

«I prossimi straordinari li fa qualcun altro» sibilò a denti stretti Morte.

Se c'era infatti qualcosa che peggiorava la situazione, era che tutte quelle persone, secondo quanto previsto dalla Trama dei Destini, non dovevano morire. Ma quando c'era in ballo la magia il rischio di deformare l'ordine naturale delle cose era sempre dietro l'angolo. E quel Malachia, tra l'altro, pareva una vera e propria calamita per deformazioni.

Morte, ovviamente, si guardava bene dal far notare a quei poveretti che la loro fine non era programmata per quel giorno, ma ciononostante gli animi restavano agitati.

«Aaaaah» cominciò a strillare anche la signora Duepiazze.

«Non uccidermi» supplicò lo spirito del giovane Gaudio.

«Io non uccido nessuno» protestò esasperata Morte. «È lui che vi ha fatto fuori!» gridò a sua volta, indicando lo stregone nel mondo dei vivi.

Malachia, incurante delle accuse, ronzava intorno al suo successivo esperimento, un uomo sulla cinquantina già piuttosto malmesso di suo. Stava appeso per le mani al gancio e penzolava sopra a una grossa anfora decorata con rose e gardenie. Malachia lo tastò con le dita del palmo teso, come alla ricerca di un punto preciso dove colpire. Quindi, senza il minimo preavviso, sussurrò parole incomprensibili e nell'anfora precipitò un'onda d'acqua, come lanciata da un secchio. Dell'uomo appeso al gancio rimase una mummia rinsecchita.

«Effetto collaterale interessante, devo appuntarmelo» disse tra sé lo stregone. Estrasse da una scatola una carta da gioco e se la posò sulle labbra, pronunciando nuovamente quelle sillabe incomprensibili. La figura sul tarocco cambiò subito diventando quella di uno straccio strizzato: era il suo modo per archiviare gli incantesimi.

Tutto questo, lasciava indifferente Morte, che invece era deontologicamente più interessata alla sventurata vittima, che apparve nel giro di un attimo al suo cospetto.

«Benvenuto Teno Stej, ti accompagnerò...»

«Aaaaah» gridò l'uomo, andando dietro al concerto del giovane e della matrona.

«Sentite, signori, io comprendo il vostro turbamento, ma dovete capire che sono qui per aiutarvi» abbozzò un disperato tentativo di rasserenare la situazione.

«Moriremo tutti!» strillò qualcuno.

«Siamo già morti» replicò qualcun altro.

«Pietà, ti prego pietà» supplicò Teno Stej.

«Aaah» commentò l'undicesima vittima, appena giunta tra loro.

«Aaaaaaahhh» aggiunse la signora Duepiazze, che evidentemente non voleva essere da meno.

Sarebbe sciocco quantificare la durata di quella cacofonia di piagnistei, dato che per loro il tempo aveva perso il senso della misura. Dovendolo quantificare secondo i parametri mortali, però, si potrebbe dire che durò un numero consistente di minuti.

Morte li trascorse tutti in silenzio, il cappuccio calato sugli occhi e la mano serrata sul manico della falce. Quando sentì il legno dell'impugnatura scricchiolare sotto la presa, accettò di non avere alternative.

«ADESSO BASTA. STATE ZITTI.»

Il risultato fu immediato e definitivo. Le anime si avvicinarono tra loro, scosse da un leggero tremito che ne confondeva i contorni. In tombale silenzio attesero il verdetto.

«Bene. Ora, signori, vi condurrò per l'ultimo tratto, e non voglio più sentire un lamento. Anche tu signorina Beccafichi, zitta e seguici» disse rivolgendosi alla quindicesima vittima.

Un'intensa luce bianca avvampò in un punto imprecisato dell'orizzonte. Le anime la fissarono sconvolte, ma subito si sentirono pervadere da un senso di pace. Morte fece strada compiendo qualche passo verso il passaggio, poi li invitò a precederla. Gli spiriti si disposero in una fila ordinata e uno dopo l'altro si confusero nella luce. Morte chiuse il corteo.

Quando l'anima di Mariano Bonuomo, l'ultima cavia di Malachia, si separò dal suo corpo terreno, non c'era più nessuno ad aspettarla.

Quando la Morte è in vacanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora