2. Tè e soluzioni

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Manuel aveva imparato ormai da tempo che quando il campanello suonava per tre volte consecutive dall'altra parte della porta, in corridoio, c'era Simone.

Lo faceva spesso, di presentarsi a casa sua senza avvisare: conosceva gli orari di Manuel come il palmo della sua mano e sapeva sempre quando trovarlo a casa. Il che poi era anche abbastanza buffo, che fosse Simone ad accamparsi a casa di Manuel e non viceversa: Simone era benestante, viveva in una villa mastodontica, aveva l'armadio ricolmo di vestiti firmati, eppure in qualche modo lui cercava di allontanarsi da tutto quel lusso. Si vedeva anche dalla compagnia che si era trovato, bastava pensare che Manuel viveva in un appartamento minuscolo che a malapena riusciva a pagarsi col suo lavoro, tant'era che spesso sua madre e il suo compagno (che manco gli andava a genio) lo aiutavano economicamente, e gli altri loro amici, chi più chi meno, erano nella stessa situazione. Lui no, Simone era così pieno di soldi che avrebbe potuto passare il resto dei suoi giorni a poltrire sul divano o a girarsi il mondo, e invece preferiva mangiare al McDonald's e fare il pendolare tra casa sua e l'appartamentino di Manuel. Non che Manuel si lamentasse di averlo sempre in giro per le sue stanze da quando si era lasciato col Pensionato, chiaro, quello mai.

Ma ovviamente gli veniva da chiedersi come un ragazzo che ripudiava il lusso sfrenato e le abitudini della sua famiglia si fosse innamorato perdutamente del perfetto stereotipo di uomo ricco, stronzo e senza cervello che Lorenzo era.

Quel giorno Simone lo beccò proprio mentre Manuel, in preda a un attacco di fame improvvisa dovuta allo stress che lo scegliere se intraprendere o meno una carriera universitaria comportava, aveva messo sul fornello l'acqua per il tè e aveva tirato fuori un pacco di biscotti.

Sorrise come un cretino al suono di quei tre squilli e, senza pensarci troppo, afferrò dal ripiano una tazza in più.

«Ciao Perfettone», aprì la porta convinto di trovarsi davanti quelle guanciotte rosse e quell'aria tenera e sbarazzina che tanto caratterizzava il minore, ma le parole gli morirono in gola non appena vide che Simone se ne stava lì sulla soglia di casa sua, piccolo piccolo nonostante il suo metro e ottantotto, con gli occhi lucidi e i denti che si torturavano il labbro inferiore.

«Ho combinato un casino», mormorò, con una vocina così pentita che Manuel per poco non gli scoppiò a piangere davanti.

«Che hai fatto?» gli chiese, ben disposto pure a dover far fuori qualcuno, se ciò avesse potuto togliere Simone dai guai. Ma quando vide che non era ancora pronto per parlare, si accostò da una parte e lo invitò a entrare in casa.

«Vieni, siediti.»

Lo osservò accomodarsi mogio mogio al tavolo della cucina, afflosciandosi sulla sedia come fosse un sacco di farina buttato lì. Tenne lo sguardo fisso a terra, anche quando Manuel immerse la mano tra i suoi capelli, preoccupato, per indurlo a calmarsi un po'.

«Vuoi un po' di tè?» gli propose, e Simone riuscì quantomeno ad annuire.

Ci vollero una tazza fumante sotto il suo naso, un pacco di biscotti con le gocce di cioccolato a lato e una mano che lo coccolava dolcemente carezzandolo sulla schiena a fargli aprire la bocca una volta per tutte.

«Praticamente oggi a casa c'era la mamma di Lorenzo», iniziò il più piccolo, gli occhioni fissi sulla bevanda. «Non c'era lui ma c'era lei perché nonna doveva mostrarle il nuovo vaso d'antiquariato che ha comprato all'asta: roba da ricchi, non t'interessa, né a te né a me.»

Manuel sbuffò una risata.

«E...?»

«E... sua madre a una certa ha iniziato a parlarmi. E non lo faceva da una vita.»

Se Simone non fosse stato visibilmente sotto stress, Manuel senza peli sulla lingua gli avrebbe anche potuto dire che si era rotto il cazzo che ogni sua preoccupazione avesse a che fare con il Pensionato maledetto. Ma ebbe rispetto per il suo stato d'animo e si morse la lingua.

Ufficialmente, per finta [Simuel]Where stories live. Discover now