Capitolo 33 - Motivi (Parte 2)

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La mamma allarga ampiamente le sue braccia e il suo viso diventa grave.

Riesco ad udire sprazzi di conversazione. «Come hai potuto.» È la frase che la mamma non smette di ripetere.

E stanco di attendere che la discussione termini, mi dirigo verso la nonna, ma quasi a metà strada si frappone Byron, il Sovraintendente delle Forze Armate con la sua solita faccia buffa.

Perché non è fuori ad aiutare Chryssa nella ricerca di eventuali dispersi?

«Cara sta parlando con tua madre, ragazzo!» Dice in tono autorevole.

La sua divisa è solo un vecchio ricordo, il tessuto è stracciato in varie parti del corpo. Il volto sanguina, eppure si ostina a fare da bodyguard alla nonna, piuttosto che farsi medicare.

«Cosa sei tu una specie di guardia del corpo?» Domando in tono di sfida.

«Non proprio, ma in questo momento lei è occupata.» Risponde lui calmo.

Abbozzo un ghigno così malefico che la risatina echeggia gelida nell'edifico.

Volto leggermente la testa per poi sferrare un colpo secco alla mascella di Byron.

Il suo corpo sobbalza di qualche metro per andare a sbattere contro una parete producendo un tonfo metallico.

Alcuni ragazzi si scandalizzano balzando, mentre i soldati, allarmati, si precipitano a puntarmi le armi.  

Ma, mi scappa una frenesia di ilarità intrinseca di amarezza.

I soldati avanzano con i fucili puntati contro di me come se fossi una bestia d'abbattere.

«Fermi tutti!» Esclama la nonna prendendo posizione al centro dell'edifico.

Proprio dov'è situata, sul pavimento è illustrata una spocchiosa rosa dei venti inghiottita dalla penombra.

«Cosa state facendo?» Domando contrita. «Dobbiamo restare uniti!» Rimprovera i suoi uomini. 

«Uniti?» Scoppio di nuovo a ridere per poi assumere un'aria seria al tal punto che i miei nervi facciali non si muovono di un solo millimetro. 

Le palpebre sono di cemento, e sento il fuoco che brucia nei miei occhi.

«E tu vorresti parlare di unione?» Sbraito.

«È vero i Ribelli hanno sterminato metà del nostro equipaggio ed hanno ridotto questo pianeta in poltiglia, ma metà della colpa ricade anche su di te, e su Clem Hale. I vostri sporchi segreti hanno portato ad una rivolta.» Abbasso il capo scuotendolo in segno di rammarico.

«Sai pensavo che almeno tu non mi avresti mai mentito, e invece ecco che riaffiora la verità. Il mio DNA è frutto di un esperimento, nulla è naturale è solo una formula iniettata nel mio corpo. Scommetto che le persone qui presenti non sappiano nulla delle tuoi movimenti segreti.»

Sono uscito fuori dai gangheri.

Basta con le menzogne, ora tutti dovranno sapere per quale motivo la grande e stimata Cara Johnson, con la speciale collaborazione del pragmatico Clem Hale, ha così incessantemente provato e riprovato a modificare il DNA umano, riuscendoci e creando una sorta di arma umana: ME!

È a pochi metri da me ed una tonalità del viso smorto; tutti gli astanti pendono dalla sua bocca, dalle prossime parole che dirà.

Ma avverto un lieve fastidio all'altezza del collo; un dardo si è conficcato nella mia pelle.

Un secondo dopo poggio lentamente la mano sulla posizione del dardo e la mia testa inizia a girare.

Le persone si sdoppiano, triplicandosi. Distinguo solo un'ombra nera, è di un ragazzo, poi mi accascio flaccido al suolo e precipito in un limbo.


***

Sobbalzo, come se avessi fatto un incubo e scuoto la testa.  

Un viscido fetore di fogne permette al mio stomaco di brontolare.  

Ricordo che sono stato colpito alle spalle da qualcuno, ma chi sarà stato?

Sono in una piccola stanza con delle ampie vetrate che affacciano su uno stretto corridoio illuminato a intermittenza e davanti ho una scrivania su cui è poggiato computer obsoleto.

Sento dei passi riecheggiare e avvisto Daren che cammina frettolosamente, come se avesse l'ansia di comunicarmi qualcosa di estrema urgenza.

La mia testa rotea ancora, ma riuscirei a distinguere il mio amico da chilometri di distanza.

Apre la porta di legno, producendo un lento e interminabile cigolio.

«Cos'è successo?» Gli domando senza perdere altro tempo.

Lui si appoggia alla scrivania e abbassa lo sguardo concentrando la sua attenzione sulla punta delle sue scarpe. «Ho dovuto farlo...» Confessa con un velo di delusione.

«Cosa? Sei stato tu?» Aggrotto la fronte disorientato. «Ora basta! Mi sono rotto, me ne andrò da questo base di pazzi e recupererò mio fratello. Con o senza il vostro aiuto.» Sbraito e gesticolo.

Appoggio in piedi al pavimento rigato e scendo dalla brandina.

Daren sembra essersi rimpicciolito, sino a diventare una mosca.

«Aspetta!»  Ferma la mia andatura proprio quando sto per uscire. «Tua nonna mi ha confessato il motivo per il quale ti ha iniettato quel DNA. Dovresti sentire la sua visione.» Finisce con timore.

Faccio dietrofront iroso e avvicinandomi a lui.

«Io credo che tu e mia nonna potete andare al diavolo.» Scandisco ogni singola parola e punto il dito contro il volto di Daren.

«Tu sei l'unica speranza che rimane al genere umano.» Continua DAren e mi prendo un solo secondo per riflettere, poi mando la conversazione al quel paese e abbandono la stanza.

Il corridoio è breve, e avvisto un baluginio alla fine del percorso. Sembra essere l'atrio d'entrata dove Daren mia ha colpito di spalle.

Come ha potuto?

Non devo più pensarci; mia nonna riesce ad abbindolare chiunque, e di sicuro avrà guadagnato la fiducia di Daren raccontandogli qualche menzogna.

Ad un punto del corridoio, dove la luce è più intensa e il rumore dell'acqua che si scontra contro le tubature, si affaccia una stanza identica  quella in cui mi sono risvegliato.

Le vetrate sono oscurate da tendine nere e quando passi di fianco, la porta si spalanca rivelando il volto mia madre.

MARXAN: LA PRIMA GENERAZIONE [PRESTO CARTACEO]Where stories live. Discover now