Capitolo 39 - Ultimo Sguardo

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La baraonda che ha appena preso vita nell'arena giunge sino a qui. I due uomini che fanno da scolta alla mia prigione bofonchiano qualche verso impronunciabile, e per sbarazzarmi del tempo inizio ad origliare cosa hanno da dirsi. Le loro voci vanno a scemare per poi divenire un semplice eco creato dal vuoto dei sotterranei. Ma ad un punto avverto dei latriti e le loro ombre si afflosciano.
Avvisto l'ombra del padre di Joshua prendere forma sulla facciata rocciosa per poi apparire in carne ed ossa. Delle chiavi gli penzolano fra le mani e dopo avermi squadrato, apre la cella arrugginita, che produce un cigolio metallico raggelante.
«Prego!» Si esibisce mellifluo e gli rivolgo uno sguardo disprezzante. Vorrei saltargli addosso e far scomparire quell'espressione vanesia che ora dipinge il suo volto.
Esco dalla gattabuia, ma vorrei tanto restare e non aver accettato la proposta di questa canaglia, ma devo, ora non posso tirarmi indietro.
Proseguiamo lungo l'androne, ma quando giungiamo ad un livello in cui è presente l'illuminazione il padre di Jason scaraventa la lampada al suolo ed essa si frantuma in mille pezzi.
«Prendi questa!» Ordina porgendomi una felpa nera. «Indossala e metti il cappuccio. Non vorrai mica che la tua amichetta finisca uccisa?»
Austero, agguanto la felpa e la indosso. La baraonda si acuisce ad ogni passo che compiamo. Siamo quasi nei pressi dell'arena e lì vedo, i miei amici sono lì: Daren, Jason e Ai sono al centro ed hanno tutti gli sguardi dei numerosi astanti puntati addosso.
Alcuni ragazzi scaraventano loro oggetti, e uomini inveiscono contro di loro. Wade cerca di chiamare l'ordine inalberando le mani, ma è tutto inutile, la bolgia è in visibilio e il caos regna incontrastato.

«Guarda avanti, se non vuoi che ci beccano.» Sibila il padre di Jason. Do un'ultima occhiata e in in un attimo sfuggente i miei occhi si incrociano con quelli di Ai. Un'ondata di panico travolge lo stomaco, e penso alle conseguenze della mia azione repentina. Pongo l'alluce ad altezza del naso e freddo intimo ad Ai di restarsene in silenzio. In un frangente di secondo, lei ammicca mentre il padre di Joshua si insospettisce.
«Allora vuoi davvero farci beccare?» Insinua scomposto. Spazzo via la visuale dall'arena e man mano che ci avviciniamo all'uscita, la baraonda va a scemare sino a diventare un lieve brusio. 

«Andremo a piedi.» Domando sardonico mentre ci addentriamo nell'immensa radura. L'erba è alta e le nuvole in cielo non permettono ai raggi di illuminare la terra. 
«Tuo padre mi ha consigliato di prendere una strada sicura.» Risponde lui secco. Arruffo il naso e continuo a seguirlo. Giungiamo in un parcheggio abbandonato: auto ormai obsolete sono sparse lungo la strada e le erbacce germogliano, stracciando l'asfalto e sbocciando rigogliose. Pezzi di edifici si mantengono eretti da una semplice asse di ferro, che da un momento all'altro potrebbero crollare. Di colpo il padre di Joshua fa un balzo scendendo in un sottopassaggio.

«Forza ragazzo, che non vedrai per molto la luce del sole.» Afferma stentoreo e fiero. Quest'uomo si farebbe odiare da tutti. Mi imbatto in un velivolo tondeggiante dalle ampie ali d'argento ai lati e un vetro color cristallo. Le porte si spalancano verso l'alto e il padre di Joshua si addentra un attimo dopo e lo seguo.
Le porte si richiudono, i motori si accendono e un lieve ronzio si fa sentire alle nostra spalle. Il velivolo inizia a librare sulla strada e degli accecanti fari prendono vita illuminando il percorso.
«Sono stato un maleducato! Il mio nome è Lì. Non avere il broncio ragazzo. Sarei felice con tuo padre.» Dice prima di far partire l'auto.
«No vedevo l'ora che mi rivelassi il tuo nome.» Rispondo sarcastico.
«Non avevo dubbi.» Ribatte lui sfoggiando un debole sorriso.
Percorriamo stretti cunicoli e strade secondarie. Tutti i passaggi sono liberi e immagino che avranno congegnato il piano prima di attuarlo.
Nel frattempo il silenzio è calato, e non ho la minima intenzione di interromperlo. Lì ha lo sguardo fisso in avanti e la mani poggiati sul volante. Sintonizzo il mio udito sulla sua frequenza cardiaca ed è nella norma. Non ha più pallida idea che al suo fianco siede il secondo soggetto dell'esperimento, e se solo volessi potrei rompergli le ossa del viso con un semplice pugno. Ma non posso, o almeno non adesso.

MARXAN: LA PRIMA GENERAZIONE [PRESTO CARTACEO]Where stories live. Discover now