Capitolo 35 - Contatto

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Spalanco le palpebre, chiudendole e riaprendole in continuazione.

Sono morto? E se questo è l'infermo è un vero schifo.

Lentamente sollevo il capo voltandomi.

Sono in una stanza pullulante di logori lettini l'uno al fianco dell'altro, alcuni sono occupati da persone dormienti, mentre altri sono vuoti e sistemati alla rinfusa.

Una donna ha il capo adagiato su un guanciale e il suo volto è percossa da vistosi lividi violacei.

Un odore sgradevole - piscio mescolato con un aroma di fogna - si insedia fra le mie narici.

Mi sollevo ancora un po', ma un deflussore conficcato nelle mie vene mi impedisce di sporgermi oltre.

Seguo con gli occhi il percorso del filo di plastica, e giungo ad una flebo consunta e che ormai non vedo più in circolazione da decenni.

In che razza di posto sono finito?

Per qualche secondo rimango con la schiena inclinata ad osservare il soffitto e noto che è molto basso, potrei toccarlo con un dito se solo riuscissi ad alzarmi.

Quasi di fianco è fiancheggiato da un comodino in legno su cui è poggiata una lampada ad olio.

Ho compiuto un viaggio a ritroso nel tempo?  

Non noto nessun segno di tecnologia moderna, soltanto mobili antiquati e nessun segno di vita umana.

Il pavimento si vede a stento e la luce giallognola e opaco che proviene dal soffitto crea un'atmosfera spettrale.

Osservo che non ci sia nessuna persona cosciente e lentamente inizio ad estrarre il deflussore dall'incurvatura del braccio.

Digrigno i denti, e l'ago si allontana dalla vena ormai ingrossata.

Estraggo il filo e lo scaravento al suolo.

Dal varco oscuro, che funge da unica entrata in questa specie di cronicario del passato, si sente un confusionale brusio di voci che si dirada in vari punti. T

Discosto le coperte dalle mie gambe scendendo dal lettino e le molle producono un gracchio che echeggia nella stanza.

Circospetto, poggio i pedi e cammino sulle punte senza fare alcun rumore.

Do una fugace occhiata ai miei abiti: sono gli stessi che indossava nel mio ultimo ricordo, quella in cui i Ribelli hanno colpiti me e Daren scaraventandoci in un bosco.

Di colpo mi torna alla mente Chryssa e avverto uno strano senso di impotenza che mi stritola le budella riducendole in poltiglia.

Respiro e subito dopo mi affaccio controllando il corridoio.

È stretto e le pareti sono si pietra grezza.

Una donna robusta si avvicina e ritraggo la testa sgattaiolando di corsa nel letto e infilzandomi con crudeltà l'ago nel buco che si era venuto a formare nella vena.

Controllo il respiro e avverto i passi della donna che si avvicinano.

Le sue dite pigiano su un aggeggio tecnologico. Dovrei essere ancora nel 2310.

Butto fuori una piccola quantità d'aria dal naso, che equivale ad un lungo sospiro di sollievo.

Sono ancora nel presente.

E se i Ribelli mi avessero catturato?

Devo restare calmo, ho la situazione sotto controllo.

Sento il ticchettio delle unghie della donna che sbattono contro l'aggeggio tecnologico.

Nonostante abbia gli occhi chiusi, mi accorgo che un baluginio blu prende forme nel buio.

Non posso più restare mummificato.

Mi issi di scatto e agguanto la donna ponendole una mano davanti alla bocca.

Lei si lascia andare in un piccolo urlo strapazzato, poi tace.

Ha un'espressione atterrita, lo deduco dal suo battito accelerato e dalle sue orbite spalancate.

È una donna di colore, e subito mi torna alla mente Daren; sarebbe facile se un medico di colore lo curasse.

La donna porta una gabbanella bianca sporca e ha una fascia rosa che blocca i suoi folti capelli ricci.

In una mano tiene stretto il tablet e scorgo che appaiono le informazioni mediche di un paziente, mentre l'altra gliela blocco all'istante prevenendo eventuali inconvenienti.

«Allora, lentamente. Io ora le tolgo la mano dalla bocca e lei mi dice - senza urlare - che razza di posto è questo.» Sibilo minaccioso.

Lascio andare la presa e la donna contro tutte le aspettative non urla, anzi sfoggia in un debole sorriso.

«Ci facciamo chiamare i Rifugiati. Siamo qui ormai dai tre anni. Da quando la guerra è cominciata, noi non avevamo altro luogo in cui andare. Così ci siamo stanziati sotto terra.»
Confessa con dolcezza e calma.

Ha un voce rassicurante e calda, ma non devo lasciarmi abbindolare, potrebbe essere tutta una trappola escogitata dai Ribelli.

«Perché mi avete portato qui? E dove sono i miei amici?» Domando frettoloso sussurrando.

«Non ti abbiamo portati noi qui, ma un tuo amico.» Risponde lei dolcemente.

MARXAN: LA PRIMA GENERAZIONE [PRESTO CARTACEO]Where stories live. Discover now