Capitolo 1° - IL MISTERO DELLA VILLA

27 0 0
                                    


Qualche tempo fa, mi trovavo nella zona dell'isontino, terra generosa, terra di vini pregiati e di cantine dai nomi blasonati. Ad un certo punto, mentre stavo guidando, notai un muro di cinta piuttosto alto che si sviluppava per alcune centinaia di metri lungo il ciglio della strada. Passando davanti al cancello, spinto da una insolita curiosità, decisi di fermarmi. La cancellata, finemente lavorata da un sapiente fabbro, si stagliava davanti a me, imponente ed elegante. All'improvviso, avvertii un'indecifrabile desiderio di spingere quel cancello che con mio stupore si aprì. Pur essendo consapevole di violare una proprietà privata, mi incamminai lungo un viale costeggiato su entrambi i lati da alberi secolari. Il viale,conduceva ad una villa antica e maestosa, la cui facciata illuminata dal sole, era dominata da un pergolato sorretto da due colonne completamente avvolte dall'edera e vicino ad una di queste, era parcheggiata una moto Guzzi di colore scuro.

Sul manubrio di questa moto era stato appoggiato un giubbotto in pelle del tutto simile a quello degli aviatori. La villa, daval'impressione di essere stata ristrutturata da poco, evidentemente un lavoro certosino l'aveva riportata agli antichi splendori.

Ad un tratto, mi sentii avvolto da un silenzio surreale interrotto solamente dal fruscio delle foglie accarezzate da una leggera brezza. La villa era circondata da un parco che si estendeva a perditad'occhio, un raro esempio di come la natura possa essere valorizzata dalla mano dell'uomo in una strana alchimia di alberi ad alto fusto, piante ornamentali e fiori rari, frutto di qualche innesto botanico. Là, dove finiva il parco, scorgevo a fatica un frutteto variopinto, ricco di pesche, mele e grappoli d'uva dorati dal sole. Mi avvicinai ad una delle finestre e sbirciando all'interno notai dei mobili e delle poltrone completamente coperte da dei lunghi teli bianchi. La cosa mi stupì, non riuscivo a comprendere come una villa così ben curata potesse essere disabitata, o quanto meno questa era l'impressione che dava. Ad un tratto, mi accorsi di una piccola scala collocata al livello del terreno che pareva condurre ad un seminterrato, scesi le scale e mi trovai davanti ad un portoncino in legno chiuso con un chiavistello privo di lucchetto. Decisi di estrarre il chiavistello dai suoi supporti, esercitai una pressione sul portoncino, il quale, con un cigolio fastidioso, si aprì. Venni subito investito dall'odore acidulo del mosto, i timidi raggi di sole che filtravano attraverso le grate, illuminavano l'interno di uno scantinato, dove un vasto reticolo di ragnatele aveva completamente avvolto una serie di botti ordinatamente in fila.

La penombra, non mi impedì di notare in un angolo un vecchio baule. Incuriosito, mi avvicinai, cercai di ripulirlo alla bella meglio dalla coltre di polvere che vi si era posata e lo aprii. Al suo interno c'era un vecchio proiettore ed una bobina di pellicola. Il mio irrefrenabile desiderio di conoscere il contenuto di quella bobina mi indusse a tirar fuori il proiettore dal baule, lo posai su un vecchio tavolaccio in legno, caricai la bobina sul braccetto del proiettore, tirai fuori la pellicola agganciandola con delicatezza all'altro perno e cominciai a guardarmi attorno alla ricerca di una presa di corrente. Riuscii a trovarne una e vi infilai la spina, cercai più volte di metterlo in funzione, ma niente, quel proiettore non voleva saperne di accendersi, probabilmente l'umidità di quella cantina l'aveva rovinato per sempre. Quando le mie speranze erano ormai vane, feci un ultimo disperato tentativo, girai l'interruttore e, con mia sorpresa, la bobina cominciò a girare e quel proiettore cominciò a raccontarmi una vecchia storia, una storia vera. Quella villa, raro esempio di signorilità non ostentata ma appena sussurrata, era abitata da una famiglia di industriali del settore dolciario. Il capostipite, era titolare di una azienda consede a Trieste che produceva cioccolata nelle più svariate forme, cioccolatini, barrette, uova. Questa famiglia era talmente agiata, da potersi permettere una servitù al gran completo. Una cuoca, unmaggiordomo, un autista, dei giardinieri ed un bambinaia rigorosamente di origini svizzere. L'autista, di origini triestine, era un uomo di media statura, dal corpo asciutto e nerboruto, marito di una delle cuoche della villa. Ogni mattina, con la sua divisa impeccabile, al volante di una elegante berlina scura, lucida a tal punto da potersi specchiare, accompagnava l'industriale in azienda a Trieste per poi far ritorno a casa a sera inoltrata. La moglie dell'autista, una donna mingherlina, estremamente cortese, dal temperamento mite, era una cuoca sopraffina. La sua innata capacità di preparare ogni tipo di prelibatezza, conquistava qualsiasi commensale.

Abitavano nella dependance della villa, che si raggiungeva inoltrandosi per alcune centinaia di metri attraverso il parco. Assieme a loro abitava la figlia di 4 anni, una vera e propria birba, che non aveva paura diniente e di nessuno, una sorta di maschiaccio in gonnella che, naturalmente, frequentava assiduamente le figlie dei signori,insomma,una sorta di famiglia allargata, dove tutti al momento giusto sapevano stare al loro posto senza confondere i ruoli.

Ogni famiglia nobile che si rispetti, ha i suoi vezzi e le sue tradizioni ed il loro mancato rispetto suona quasi come un oltraggio. Una di queste tradizioni, riguardava la mattina di pasqua. La cuoca, sialzava di buon mattino e assieme al marito, nascondeva in tutto il parco decine e decine di uova sode colorate. Dopodiché quando si fossero alzate le bambine, vestite per il giorno della festa con abiti color pastello, avrebbero dovuto gironzolare per il parco alla smaniosa ricerca di quelle uova che, secondo una fantasiosa quanto improbabile storiella, erano state nascoste nel corso della notte da un fantomatico leprotto e, naturalmente, la bimba che fosse riuscita a trovare il maggior numero di uova colorate, si sarebbe aggiudicataun bel premio.

All'improvviso il proiettore si bloccò, in modo concitato cercai all'interno del baule una seconda bobina ma era vuoto, non c'era una seconda bobina da caricare e in quell'istante ebbi la netta sensazione di essere stato lo spettatore casuale di singoli frammenti disordinati di una storia ben più complessa.

All'improvviso,in un angolo buio dello scantinato, si materializzò la figura di quella bambina un po' maschiaccio che era il vero terremoto di quella enorme casa. Quella bimba, mi guardò sorridendo, io sorpreso ed impaurito arretrai di qualche passò, poi scomparve.

L'immagine di quella bambina, mi aveva profondamente disorientato, continuavo a chiedermi perché proprio lei? insomma volevo saperne di più, e magari conoscere la sua storia. Tolsi la bobina dal proiettore e, per ragioni a me inspiegabili, il proiettore ricominciò a funzionare, non credevo ai miei occhi, proiettava immagini senza nessuna bobina caricata. Feci un balzo all'indietro, la porta in legno si chiuse di colpo alle mie spalle, sentii il chiavistello scorrere, cercai di aprirla con tutta la forza possibile ma non ci riuscii, come se qualcuno l'avesse chiusa dall'esterno. Il Silenzio attorno a mesi fece raggelante e in quel preciso istante capii di esser diventato prigioniero di quella villa. Le immagini scorrevano sulla parete umida dello scantinato esercitando in me una forza attrattiva dirompente che non riuscivo a comprendere. Sulla parete si era materializzato un paesaggio avvolto da una fitta nebbia, ed insottofondo, lo sciabordio dell'acqua mi indusse a pensare ad una località di mare o ad un fiume. Ad un tratto, le immagini siingrandirono e nonostante la nebbia, riuscii a scorgere in lontananza tre cupole dorate. Ma certo, le cupole della basilica di San Marco aVenezia. Il rumore sordo di un motoscafo che si allontanava dalla piazza, catturò la mia attenzione. A bordo c'erano due uomini di spalle, uno guidava, l'altro stava in piedi reggendosi al lunotto del motoscafo che sobbalzava fendendo le acque increspate dellalaguna. L'uomo sembrava particolarmente infreddolito e si teneva stretto al collo il bavero di un impermeabile leggero, decisamente poco adatto all'umidità tipica della città più bella del mondo. Strano, ma l'aspetto di quell'uomo mi parve vagamente familiare. Il motoscafo, dopo un breve tratto di navigazione, attraccò alla banchina del molo dell'isola di San Giorgio situata proprio davantia piazza San Marco. L'uomo dopo essere sceso, salutò cordialmente il tassista, e si incamminò, con passo svelto lungo una stradina non asfaltata che l'umidità aveva reso particolarmente scivolosa. Alla fine della strada, sorgeva un edificio piuttosto anonimo, di colore bianco, una sorta di vecchio palazzone di quattro o cinque piani. L'uomo entrò nell'edificio che ospitava un centro di riabilitazione gestito da una comunità di suore, percorse un tratto di corridoio, e dopo essere entrato in una stanza, corse incontro ad una persona seduta su una poltrona abbracciandola fortemente. L'intensità di quell'abbraccio fu talmente vibrante, da pensare che per un attimo il tempo si fosse fermato. Mentre l'uomo di  spalle si stava per girare, l'immagine si bloccò all'improvviso,come se il proiettore avesse attivato una sorta di fermo immagine.

Ma cosa stava accadendo? Con un gesto repentino staccai la spina dalla presa, ma il proiettore rimase acceso ed il fermo immagine rimase lì, stampato sulla parete. Avevo capito, quel marchingegno mi staval anciando una sfida, voleva sapere se ero disposto ad andare fino infondo e conoscere tutta la storia. Con tutto il fiato che avevo incorpo cominciai a gridare aiuto  quasi mi aggrappai a quel portoncino in legno nel vano tentativo di smuoverlo, ma tutto fu inutile, oltre quel portone, solo il silenzio.

IL PROIETTORE IMMAGINARIOWhere stories live. Discover now