Capitolo 6° - LA MAGIA DELL'ALTARE

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Ad un tratto, sentii scuotermi, era Paolo, si era accorto che mi ero imbambolato, perso nei miei pensieri che affioravano opachi per poi inabissarsi nuovamente con la stessa andatura di un fiume carsico. Ripresi il controllo di me e lui continuò spiegandomi che aveva accolto quel ragazzo come un figlio, insegnandogli l'arte del servizio di sala, dell'accogliere il cliente e farlo sentire a sua agio, e quel ragazzino acerbo ed un po' spaccone, dalle origini umili, era diventato un abile capo sala, capace di muoversi tra i tavoli con disinvoltura e fierezza, quasi fosse un ballerino che danzava sulle note di una dolce sinfonia, ed inoltre, assomigliava tantissimo ad Adriano Celentano. Volle a tutti i costi presentarmelo, Silvano si avvicinò e mi diede la mano, il suo palmo, il suo palmo era ruvido, come se avesse una cicatrice, ma allora quel ragazzetto della riviera era lui, o forse no.

Paolo aggiunse che Silvano si stava per sposare e che gli aveva chiesto di fargli da testimone. Malgrado questo chef gentiluomo fosse molto garbato, io ero spazientito, la storia che mi aveva raccontato era interessante, ma io cosa c'entravo con tutto questo? Paolo, per la terza volta mi prese sottobraccio e mi condusse fino davanti ad un negozio di abbigliamento per donne che in realtà era una boutique, dall'interno del negozio si udivano le note di una canzone che avevo riconosciuto all'istante, era John Lennon con la sua Imagine, Paolo mi invitò a non distrarmi e ad guardare con attenzione all'interno del negozio, dove, davanti ad uno specchio, intenta a provarsi un abito c'era.....mio dio...Linda. Mi girai di scatto ma Paolo era scomparso, come volatilizzato, mi nascosi dietro una colonna, e adesso, cosa fare? l'avevo cercata per giorni ma non ero pronto a parlare con lei, da dove partire? Mentre cercavo di riordinare le idee tenendo sotto controllo le palpitazioni, con molto concitazione cercai nella tasca interna della mia giacca la foto di quella ragazza mora dai capelli lunghi, la guardai per qualche istante, cercando di calmarmi e di riacquistare un barlume di lucidità. Mi stavo convincendo che quella fosse qualcosa di più di una semplice foto, una sorta di messaggio in codice.

Lind auscì dalla boutique e sentii la commessa del negozio augurarle buon matrimonio. Avevo capito bene? Matrimonio? Decisi di seguire Linda a breve distanza, ero diventato un pedinatore seriale, prima suo padre, adesso lei, al diavolo!!! Linda si diresse verso il Noncello, questa non poteva essere una coincidenza, ad un tratto venne affiancata da una vecchia auto, o meglio per me era una vecchia auto, ma per quei tempi probabilmente era un' auto di grido, una Fiat 850 coupè, Linda salì a bordo ed abbracciò affettuosamente il conducente che riconobbi all'istante, era Silvano. Dovevo assolutamente parlare con Paolo, dopotutto era l'unica mia fonte d'informazione. Rientrai nel ristorante, scesi le scale, entrai nella tavernetta e rimasi senza parole quando notai che seduta ad un tavolo c'era la signora....come si chiamava? ah sì, Marina, la donna del Consolato Francese di Trieste. Cosa ci faceva qui? Mi salutò con quel fare affabile che mi mandava letteralmente su tutte le furie, lei ed il suo autocontrollo che mi faceva sentire un burattino da strapazzo. Mi sentivo tradito da lei, avevo realmente creduto che quel cofanetto potesse aiutarmi a districare il groviglio di questa matassa ed invece sapevo solamente che due innamorati stavano per sposarsi, e allora? Mi disse che fuori c'era una macchina ad attenderci, un'altra macchina? No, adesso basta!!! Ero stufo di essere scorrazzato a destra e a manca. La donna mi prese permano ed io, quasi preda di un incantesimo, mi calmai all'istante. Uscimmo dal ristorante, dove ad aspettarci, alla guida di una piccola utilitaria c'era....c'era....l'uomo col Borsalino, non riuscivo a deglutire né a muovere un passo, l'uomo scese, io arretrai in preda al panico, lui mi tese la mano e mi disse: "Giovanotto, ricorda? Non chi comincia ma quel che persevera", non riuscii a proferire  parola, possibile che fosse stato proprio lui ad entrare nella mia camera d'albergo e a scrivere quella frase sullo specchio? Lui, che  si era sentito giustamente importunato da me e che mi aveva aggredito, ora mi induceva a perseverare? Mi fece salire in macchina e tornammo ad Aviano. Per tutto il tragitto rimanemmo in religiosos ilenzio, oltre il finestrino della macchina, mi misi ad osservare la pioggerellina fina che sembrava quasi nebbia, la stessa nebbia chedall'inizio di questa storia, aveva avvolto la mia mente. Parcheggiammo in piazza, proprio davanti a quella chiesa che già conoscevo. Scendemmo dall'auto e facendomi strada mi condussero a casa loro. Ero imbarazzato, le gambe mi tremavano, entrammo in salotto e seduta su una sedia a dondolo, intenta ad ascoltare un disco su un bellissimo grammofono, c'era.....Linda. Marina socchiuse la porta, io mi sedetti timidamente sul bordo di un divano color salmone, Linda, che aveva sciolto i suoi lunghi capelli, si sedette vicino a me chiedendomi per quale ragione la stessi cercando,ma dalla mia bocca non uscì una sola parola.

Mi alzai di scatto, uscii dalla porta quasi fossi un ladro, scesi le scale e m'incamminai a passo svelto verso la piazza fermandomi davanti a quella fontanella dove mi ero curato la ferita tempo addietro. Avevo rovinato tutto e adesso che fare? Volevo che il proiettore si fermasse, volevo uscire da questa storia, dal quel maledetto scantinato e da quella villa, tanto maestosa tanto intrisadi un mistero che mi stava scavando l'anima, e soprattutto volevo indietro la mia vita.

Mi sedetti sul marciapiede e tirai fuori quella foto, chi era quella ragazza? Perché ogni volta che entravo in fibrillazione la mia esigenza impellente era osservare il suo volto ed il suo sorriso?

Ero tutto fradicio, sembravo un vagabondo con il violino da un lato ed il cofanetto dall'altro, ero un volto senza storia. Ad un tratto avvertii uno strano refolo di vento, un vento caldo e anomalo, alzailo sguardo al cielo, le nubi cominciarono a diradarsi, ed il cielo all'improvviso si tinse di un azzurro intenso ed un sole abbagliante in tiepidì il clima.

Le campane della chiesa cominciarono a suonare a festa, mentre al centro della piazza notai un gruppo di persone vestite con abiti da cerimonia. Dal fondo della piazza vidi avanzare un'auto, era la Fiat 850 coupè di Silvano, a bordo c'erano lui e Paolo. Silvano era elegantissimo dentro al suo smoking, il suo ciuffo fluente sobbalzava sfiorato da un leggero vento. Mi feci coraggio, andai incontro a loro e li salutai, ma niente, non mi risposero, riprovai una, due, tre volte ripetendo "sono Giorgio, non vi ricordate di me?" Niente, ero diventato invisibile ai loro occhi.

Entrai in chiesa, non avevo mai visto una luogo di culto addobbato in quel modo, era incredibile, in corrispondenza di ogni banco c'era un tronco, alto circa mezzo metro, sul quale erano stati innestati con abile maestria dei fiori di pesco e di ciliegio che emanavano un profumo inebriante, e gli stessi tronchi ornavano i due lati della navata centrale nonché la parte superiore dove si trovavano le canne dell'organo. La chiesa nel frattempo si era riempita di persone, venni raggiunto da quelle note, un violino stava intonando L'Ave Maria diShubert, corsi in chiesa e all'estrema destra dell'altare il signore col Borsalino stava suonando, aprii la custodia che portavo con me, era vuota, lo "Stentorcorservatoire"era sparito.

Dal fondo della chiesa, vidi avanzare lei, Linda, sembrava una principessa, avvolta nel suo abito bianco, tanto semplice quanto raffinato, avanzava con fierezza quasi regale, mentre i suoi capelli corvini brillavano grazie ai raggi di sole che filtravano attraverso le finestre colorate della chiesa. Silvano la attendeva davanti all'altare, la prese sotto braccio con estrema delicatezza, i loro sguardi si incrociarono per un bree istante, avvertii una strana vertigine, poi, ancora, inesorabile, il buio.


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