Capitolo 10° - UN REBUS COMPLESSO

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Con la cartella clinica e le foto decisi di far visita a Linda. La trovai in vestaglia, era molto nervosa, fumava una sigaretta dietro l'altra, il bimbo era dentro al suo box impegnato a mordicchiarsi il piede sinistro, quando i neonati scoprono i piedi, chi li ferma più, mi misi a ridere di gusto come non facevo da tanto tempo, forse troppo. Dissi a Linda che quel fumo le faceva solo male e con un gesto delicato le tolsi la sigaretta dalle dita spegnendola sul posacenere.

Tirai fuori i documenti dal bustone, Linda, non appena li vide, si alzò di scatto e avvicinandosi alla finestra, cominciò a gridare che quello che c'era scritto su quella cartella non era vero, lei era sicura, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il bimbo non aveva il cordone ombelicale attorno al collo, ed io, in qualità di avvocato, avrei dovuto difenderla. Io avvocato? Ah, già, la mia carta d'identità, ma io non ricordavo di aver fatto l'Avvocato, e comunque si trattava di un altra vita, quella che uno strano gioco del destino mi aveva strappato. Se non avevo capito male, Linda sosteneva che quei documenti costituivano un falso, a suo dire, l'ospedale aveva manomesso la cartella clinica al fine di porsi al riparo da eventuali richieste risarcitorie. Mi sentii come in mezzo ad un guado, a chi dovevo credere? a Linda o a quei documenti? Certo, la mia indole mi induceva a schierarmi dalla parte di Linda ma c'era un comprensibile margine di dubbio. Mentre riflettevo sul da farsi, avvertii l'ennesima vertigine alle quali il proiettore, con i suoi maledetti fotogrammi, mi aveva condannato senza appello. Ma capii che era qualcosa di diverso, anche Linda cominciò a barcollare, sentii il pavimento muoversi, i vetri delle finestre vibrare con prepotenza, il lampadario roteare all'impazzata. Linda con gesto fulmineo si mise sopra il box, proteggendo il piccolo con il suo corpo ed io feci lo stesso con lei. Il tutto durò pochi secondi lunghi quanto un'eternità, poi scese un silenzio anomalo, come di aria appena esplosa, un istante surreale.

Il silenzio venne interrotto dalle urla del bambino, mentre io e Linda ci guardammo attorno straniti, cercando di riacquisire un barlume di lucidità, l'ennesimo cassetto della mia memoria si aprì prepotentemente, quasi spinto da una molla da troppo tempo compressa, ma certo,il 6 maggio 1976, il terremoto del Friuli, interi paesi rasi al suolo e migliaia di morti. Linda prese in braccio il piccolo, lo avvolse in un plaid e scendemmo rapidamente le scale, dirigendoci verso la piazza. La piazza sembrava un girone dantesco, centinaia di persone vi si erano riversate in preda al panico, gente che urlava, altri che cercavano di capire dalle poche notizie frammentarie che giungevano da una radio scassata, la reale entità dell'accaduto. Ricordavo, che si era trattato di un sisma fortissimo, una vera e propria catastrofe che aveva messo quasi in ginocchio questa terra. Ad un tratto, mi girai e mi accorsi che Linda ed il bimbo erano spariti, non c'erano più, cominciai a farmi strada tra la gente alla loro disperata ricerca, in mezzo a tutta quella confusione mi misi a gridare il nome di Linda come un forsennato, ma senza ottenere risposta. Mi sedetti in un angolo, cercando di estraniarmi da quel frastuono surreale, avvertii la necessità di sfogarmi e mi lasciai andare ad un pianto, poi mi addormentai. Al mio risveglio, la prima immagine che mi si presentò fu un paio di scarpe da uomo lucidissime, alzai lo sguardo, era Marcello, ero talmente contento che gli buttai le braccia al collo, lui si divincolò imbarazzato ed io indietreggiai di qualche passo. Gli chiesi subito come stesse Linda dopo la scossa, ma lui mi guardo interdetto chiedendomi a quale scossa mi stessi riferendo, ma come? La scossa di qualche ora prima, insomma il terremoto, mi appoggiò una mano sullas palla chiedendomi se stessi bene. Mi sentii quasi offeso da quello domanda, era evidente che non stavo bene, ma perché quella domanda sul terremoto l'aveva sorpreso? Marcello, mi spiegò che  quella scossa era ormai un vecchio ricordo, erano passati tre anni, e non capiva perché mi fossi fissato con la storia del terremoto. Tre anni? Credevo di essermi assopito solo per pochi istanti ed invece erano passati tre anni, maledetto proiettore, continuava a giocare con il tempo. Marcello, mi chiese di seguirlo, m'impuntai, gli dissi che non avrei più mosso un passo senza prima aver ottenuto  delle risposte precise su tutto quello che mi era capitato. Senza scomporsi, Marcello mi rispose che per lui andava bene, potevo anche starmene lì, ma senza il suo aiuto sarei rimasto inesorabilmente solo.

IL PROIETTORE IMMAGINARIOWhere stories live. Discover now