A.03

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Quando il fascio di raggi X proiettato dallo stipite superiore della porta di servizio investigò l'interno del bidone di plastica, il microschermo montato sugli orologi delle guardie offrì in bianco e nero la figura rannicchiata a feto della fuggitiva.

«Ehi, ma che diavolo è?» esclamò uno dei due agenti armati di laser aketronico. Ma non ebbe il tempo di proseguire, perché il pesante tubo di piombo, nascosto fino a quel momento dentro una manica della tuta di Callis, si materializzò quasi magicamente nella sua mano destra e i crani dei due scagnozzi subirono una rapida, decisa e irreversibile frattura osso-occipitale.

Senza esitazioni l'infermiere attraversò il cortile oltre quell'ingresso, spingendo il bidone a rotelle della spazzatura, come se dovesse assolvere il suo quotidiano compito di scarico dei rifiuti. Quindi s'avvicinò ai grandi raccoglitori metallici posti contro uno dei muri perimetrali, premette il pulsante del fusto centrale e, quando il piano di chiusura/intrusione si inclinò di 45 gradi, estrasse il sacco di plastica nera che conteneva la fanciulla, lo depositò sulla superficie cromata, facendo ben attenzione che non scivolasse giù, poi le ordinò di saltar fuori e tenersi ben nascosta dietro il bidone che intanto riportava indietro, dopo aver lasciato cadere nello scarico il sacco di plastica vuoto.

A metà percorso, quando i tre soli elementi mobili di quell'evento spazio-temporale (infermiere, bidone e fuggitiva) incrociarono il pozzo ottagonale posto al centro esatto del cortile, Callis pronunciò – sempre a voce bassissima – il suo secondo ordine.

«Adesso saltaci dentro!»

«Ma cosa c'è in quel pozzo? E quanto è alto?»

«Niente discussioni ragazzina: non ci sono altre vie di fuga!»

Alix prese un respiro e si slanciò a piedi uniti nell'abisso.

Mentre cadeva non ebbe dubbi che stava sognando. L'avevano ridestata facendole annusare un odore mefitico di canfora e urina, le avevano svelato che era in pericolo mortale, l'avevano rivestita e subito dopo ficcata in quel sacco della spazzatura a sua volta posto dentro il bidone, da cui era uscita fuori per librarsi in due salti; il secondo dei quali sembrava non volersi mai arrestare: era indubitabilmente all'interno di un sogno, non potevano esserci altre ragioni. O il pozzo era profondissimo oppure precipitava lentissimamente, perché mentre cadeva ebbe un mucchio di tempo per guardarsi intorno e chiedersi cosa sarebbe accaduto poi.Dapprima, cercò di guardar giù per scorgere dove stesse andando, ma era troppo buio per distinguere alcunché; allora guardò le pareti del pozzo e si accorse che stava usando le stesse identiche parole del racconto di Lewis Carroll. Ci manca solo che alla fine incontri il Coniglio Bianco! esclamò: difficile stabilire se ad alta voce o soltanto nel suo pensiero Intanto continuava a precipitare sempre più giù. "Dopo una caduta come questa, ruzzolare per le scale mi parrà una bazzecola!" Pensò e subito dopo si rese conto che questa stessa identica frase viene pronunciata dalla Alice di Carroll mentre cade nel pozzo delle meraviglie. D'altra parte era normale, visto che aveva appena finito di leggere le sue avventure e questo –di fatto – avvalorava l'ipotesi di trovarsi in un sogno: si era tanto immedesimata nelle vicende della bambina inglese che adesso le riviveva all'interno del suo mondo onirico. Anche se di solito sognando non ci si rende conto di essere all'interno di un sogno! Si disse elaborando una sorta di auto-obiezione. Ma ogni tanto invece capita di riuscirci e in un documentario aveva sentito parlare dei cosiddetti "sogni lucidi". Se effettivamente era placidamente immersa nel mondo di Morfeo, allora il suo sogno era davvero lucidissimo. Finché, d'un tratto, bum! bum!, arrivò giù, atterrando su qualcosa di morbido, anzi, morbidissimo, un materasso di gomma piuma alto non meno di un metro, dal quale fu persino difficile scendere per toccare la terra vera e propria.    

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