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Porsero i biglietti al custode che vigilava l'ingresso ed entrarono nel Museo di scienze naturali. Erano settimane che Alice la supplicava e finalmente la nonna era riuscita a rubare un'intera mattina alle sue molteplici e indaffaratissime faccende per accompagnare nipotina e indissolubile affiliato al grande palazzo che si ergeva proprio nel centro della loro cittadina.

Com'era sbocciata quest'improvvisa passione per la scienza non è dato sapere, forse grazie a un libro preso in prestito alla biblioteca comunale, forse dalla visione di un documentario televisivo, ma era tipico della ragazzina con gli occhi viola infatuarsi di qualcosa con cui era venuta a contatto più o meno casualmente e sprofondarcisi dentro fino all'inevitabile nausea e successiva dimenticanza.

«Dio come sono elettrizzata!» esclamò Alice mentre varcavano la soglia della prima sala dedicata ai sauri del Cretaceo, alcuni dei quali si stagliavano come colossali impalcature in ossa, metallo e bulloni arpionati a dadi esagonali di spropositata grandezza.

In minacciosa postura erano stati ricomposti due triceratopi, un iguanodonte ed un terribile e allo stesso tempo magnifico tirannosauro rex, quest'ultimo alto quanto un palazzo di cinque piani e qualche comignolo in sopraggiunta.

Alice negli ultimi 30 secondi aveva letteralmente smesso di respirare, quindi, dopo aver ingurgitato con un rantolo un paio di litri di azoto, ossigeno, argon e piccole parti di anidride carbonica, esclamò: «Ma con quale coraggio uscivano fuori di casa, cioè fuori di grotta, gli omoidi di quel periodo?»

Luca le ricordò che non c'era ancora nessun omoide in quel periodo.

«E tu che ne sai? Sapientone! Eri forse lì ad osservare la scena?» Abbiamo già sottolineato quanto fosse permalosa la nostra Alice?

«Lo affermano i paleontologi, sciocca!» Replicò il ragazzo, che non era certo disposto a lasciarsi posare la mosca sul naso.

«Ed io perché dovrei credere a questi esimi pantofologi? Per caso loro c'erano?»

«Ma ti ricordi dove siamo?»

Di fronte allo sguardo interrogativo della ragazza, Luca aggiunse: «Al Museo di scienze naturali! E i paleontologi sono gli scienziati che trovano i reperti che poi finiscono nei musei!»

«Schhh!» provò ad apostrofarli la nonna. «Forse gli altri visitatori non sono molto interessati ai vostri battibecchi.»

«E invece dovrebbero!» ribatté prontamente Alice. «Perché i nostri becchibatti sono molto divertevoli.»

Luca si limitò a schiaffeggiare l'aria con una mano, tanto con quella ragazzina era del tutto inutile mettersi a discutere e dopo aver mirato e rimirato da ogni possibile angolazione le delicatissime strutture dei metallosauri, passarono nelle stanze della formaldeide, ovvero di tutti quei reperti organici conservati dentro ossidate ampolle di vetro colme di formaldeide o formalina o semplice acqua e sale, in cui galleggiavano mostruosità d'ogni tipo e colore, benché questi ultimi virassero sul grigio verdastro molto squamoso e alquanto disgustevole - come avrebbe osservato di lì a poco la ragazza del gruppo.

In immersione plurisecolare si trovavano rospi del borneo, anguille del polesine, raganelle di sotto casa e poi reni, fegati, toraci asfittici, cuori idrogenati, vermi vermellati, glandole zuccherate, embrioni acefali, cefali embrionati, seppie, polipi e indistinte uova fluttuanti pronte a una prossima rinascita.

«Ma che diavolo ci facevano con questa roba?» provò a chiedere il maschietto della compagnia, più per vena retorica che nella reale speranza di una risposta.

«Si scompisciavano di risate pensando alla faccia che avremmo fatto noi posteri osservandola!» asserì Alice con galileiana sicurezza e lo sperimentalismo scientifico inaugurato dall'astromatematico pisano avrebbe potuto persino darle ragione.

AlixOnde as histórias ganham vida. Descobre agora