C.01

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C'era un varco da cui entrava un fiotto di luce, una specie di breccia con un contorno di mattoni dissestati, attraverso cui Alix passò per sbucare in aperta campagna. Era una giornata oltremodo luminosa e dinanzi a lei s'apriva un sentiero di ghiaia su cui decise d'incamminarsi, convinta che da un momento all'altro sarebbe comparso il Coniglio Bianco. Invece non apparve proprio nessuno e quando il sentiero curvò di molti gradi a destra per seguire una torsione della collina, Alix si trovò di fronte un cancello arrugginito e dissestato, con un battente che era addirittura uscito dai cardini e s'era inclinato con gran parte del suo peso sull'altra metà ancora in piedi. Con molta cautela, per evitare di ferirsi con la ruggine e magari beccarsi il tetano, la fanciulla infilò una prima gamba nello spazio tra lo stipite laterale e l'anta abbattuta, quindi richiamò anche il resto del corpo e una volta al di là dell'ostacolo vide di fronte a sé una villa ancora più malmessa del cancello.

«Ma dove diavolo sono andata a finire!» esclamò a mezza voce.

«Nell'antro della strega, naturalmente!» disse una voce metallica proveniente dalla sua destra. Alix si voltò in direzione del suono e da dietro una quercia vide spuntare una vecchia armatura da cavaliere che un tempo doveva essere stata tutta bianca con solo una righina nera lungo i bordi; mentre adesso era un miscuglio di acciaio, ruggine, chiazze di vari colori, residui di sangue e un numero imprecisabile di graffi, alcuni molto più profondi degli altri. L'elmo era ancora più ammaccato, graffiato e scolorito del resto, col rimasuglio di un pennacchio che un giorno molto lontano doveva essere appartenuto a qualche razza orientale di gallo pregiato. Sullo scudo, tra le profonde incisioni lasciate da chissà quanti colpi di spada nemica, sopravviveva uno stemma indefinibile, forse di due mantelli che si chiudevano uno nell'altro. Per non dire com'erano ridotti gli scapolari, i calzari, le ginocchiere e le gomitiere.

«E voi chi diavolo siete?» urlò quasi la ragazza, rinculando all'indietro con un mezzo saltello a metà fra lo stupore e la paura.

«Per tua informazione c'è ben poco di diavolesco in me, benché qualcosa di stregonesco forse occorrerà contemplarla».

«Prego?» interloquì Alix, provando a superare lo sgomento che quella visione e quella cupa voce metallica le procurava, dal momento che quest'ultima giungeva da dentro l'elmo chiuso, come fosse la stessa lamiera dell'armatura a vibrare, e con un lieve rimbombo d'eco.

«Io sono Agiluffo Remo Bernardino dei Guidilverni e degli Atrei di Corbentera e Sutra, cavaliere di Calippia Superiore e Citeriore!»

«Per la Peppa!» commentò agremente Alix. «Cavaliere del Calippo mi sembra un gran bel titolo!»

«E lo è!» sottolineò pomposamente la nobile armatura. «Per quanto abbiate leggermente storpiato il nome della casata o giovine donzella».

«E perché non sollevate la visiera, nobile condottiero, acciocché io possa scorgere le vostre fattezze!» In effetti la ragazza aveva letto un bel po' di letteratura cavalleresca e, visto che c'era, volle mostrare di sapersi destreggiare abilmente anche con quel genere di terminologia.

Il cavaliere non fece nessun gesto; la sua destra inguantata e bloccata da una sconnessa manopola strinse forte l'elsa della spada, che fungeva un po' da bastone, con la punta saldamente ancorata al terreno; tuttavia la voce uscì netta dal barbazzale, modulando una frase che alla ragazza parve quanto meno singolare: «Perché io non esisto, madamigella!»

«O questa poi!» esclamò la fanciulla. «Vuoi vedere che sono capitata di fronte al cavaliere inesistente?» Esitò qualche istante, poi, con tono perentorio aggiunse: «Sollevate la celata cavaliere!»

Agiluffo parve per qualche istante indeciso, poi con mano ferma ma lenta sollevò la visiera e – stracavoli – non c'era alcun dubbio: l'elmo era vuoto. Nella semi-sbrindellata armatura dal cadente cimiero pressoché privo di colori non c'era dentro proprio nessuno.

A questo punto, proprio come il "Carlo Magno" di Italo Calvino, Alix avrebbe voluto bofonchiare: «Mah, mah! Quante se ne vedono!» Siccome, però, non era Carlo Magno, disse semplicemente: «D'accordo! E cosa avete detto che si trova nella magione di fronte a noi?»

«L'antro della strega, naturalmente!»

«E naturalmente questo par di zufoli!»

«Prego?» s'informò l'accozzaglia di ferro parlante.

«Sì, prego e grazie, scusi e tornerò!»

L'armatura squadrò la ragazza come se costei fosse stata immantinente posseduta da uno spirito malefico, ma Alix evitò di spiegar (le?) (gli?) che si trattava dei versi di una canzone di mezzo secolo prima che suo padre si divertiva a cantare tutte le volte che qualcuno si impelagava tra le formalità del "grazie" e "prego".

«Lasciamo perdere,» disse infine. «E secondo te,» era passata senza accorgersene al "tu" colloquiale, «adesso cosa dovrei fare?»

«Ma entrare nell'antro, naturalmente!» sentenziò cupamente assertorio Agiluffo inveduto.

«Nell'antro non entro nemmanco se m'ungi!»

«Se tungo?» domandò – perplesso – Remo Bernardino dei Guidilverni. «Semmai "se tango": hai qui di fronte un tanghèro formidabile!»

«Un tan... che?... Ah, un tànghero, non avevo dubbi... e pure putrido»

«Basta!» urlò a questo punto il cavaliere di Corbetra e Sutra – che chissà dove saranno mai state simili località – sollevando la spada e puntandola vicino alla gola della ragazzina. «Entra nell'antro e facciamola finita.»

«Altrimenti?» fece lei; ma non con un tono di minaccia, piuttosto un'accorata impetrazione per ottenere ragguagli su cosa le sarebbe capitato se avesse insistito a disobbedire.

«Altrimenti ti taglio a fettine.»

«Ok, ok! Entro nell'antro! Stiamo calmi, però, ché alla mia pelle – diversamente da te che certe cose non le puoi capire – ci tengo!»

S'avvicinò così al portone d'ingresso e, con amara delusione, dovette constatare che era semplicemente socchiuso e non sprangato come sperava. Una punturina alle spalle, chiaramente causata dallo spadone del cavaliere, le fece intendere che non bastava stare lì dinanzi in mistica contemplazione; spinse perciò l'uscio e con molta cautela lasciò penetrare nell'abitazione circa metà del suo corpo. Restò quindi in attesa che l'ammasso di lamiera ambulante le si avvicinasse, ma sembrava proprio che Agiluffo dei Guidilverni fosse davvero poco propenso a seguirla nell'ispezione dell'oscura dimora.

«Beh? E tu che fai? Non entri con me?»

«Mi è interdetto. Il mio compito è sospingere non penetrare!» E con gesto fulmineo scaraventò la ragazza all'interno della magione richiudendo altrettanto rapidamente la porta alle sue spalle.

«Figlio di...» urlò Alix, bloccandosi a metà di un insulto che – era innegabile – avrebbe avuto ben poco senso. «... una saracinesca aperta giorno e notte!» concluse. «E adesso che faccio?» si disse a mezza voce, ma dopo qualche secondo si rese conto che il buio non era così fitto come le era apparso inizialmente. Un filo di luce filtrava attraverso gli scuri serrati di quella che doveva essere una porta-finestra e lentamente riuscì a individuare i contorni delle cose.

AlixWhere stories live. Discover now