5. Il premio più prestigioso (I)

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Era ancora buio pesto quando Camelie scese silenziosamente la scalinata di marmo nero striato di rosa che collegava l'ala est della casa all'androne del pianoterra. Si sentiva debole dalla sera precedente, così si aggrappò al corrimano di madreperla per contrastare il formicolio nelle gambe. Non era riuscita a chiudere occhio. Dopo aver controllato ossessivamente cosa il suo inconscio avesse arraffato alla festa, Camelie si era rigirata insonne nel letto, rimuginando su come avrebbe convinto suo padre a rimangiarsi la parola data agli Holsen. Quattro ore di veglia che non erano purtroppo servite ad arrivare a una conclusione. Non voleva però rimandare la rottura del fidanzamento un secondo di più, così si era convinta a tendere al padre un agguato nell'unico momento in cui lo avrebbe trovato solo: a colazione.

Antoine Lambert si alzava un'ora prima dell'alba per scendere nelle piantagioni insieme agli schiavi. Ogni mattina seguiva sempre lo stesso rituale: dieci minuti di corsa forsennata nella sua stanza tapis roulant, una doccia bollente di acqua termale e oli idratanti, e una colazione ridicolosamente calorica per un uomo della sua età. La consapevolezza di potersi permettere qualsiasi cura medica necessitasse lo spingeva a crogiolarsi nei vizi alimentari più aberranti.

Nel vedere la figlia attraversare l'uscio della sua sala da pranzo privata, avvolta in una vestaglia da notte, con gli occhi impastati di trucco e più pallida del solito, Antoine si alzò in piedi preoccupato.

La ragazza considerò quel gesto una prima, seppur piccolissima, vittoria, e, accentuando l'aria stralunata, si sedette a due sedie di distanza da lui.

«Si può sapere che diamine è successo? Non ti ho mai visto in piedi tanto presto» esclamò Antoine tamburellando nervosamente sulla tavola apparecchiata, tanto da far tintinnare le stoviglie.

Camelie decise che il modo migliore per rendere il padre partecipe del dramma che stava vivendo ormai da quattro giorni, fosse condividere con lui tutta la verità, o meglio quasi tutta la verità. Tralasciò accuratamente di riferire con che parole esatte Kennedy Holsen l'avesse insultata, temendo che il padre potesse simpatizzare con il ragazzo invece che con lei. Non era una novità che anche lui la reputasse superficiale, infantile e viziata.

Man mano che Camelie raccontava come Kennedy l'avesse umiliata, il volto di Antoine si rabbuiava, tanto che la ragazza si interruppe per capire quale fosse il punto di vista della persona che più di tutti avrebbe dovuto avere a cuore la sua salute, se non il suo onore.

«Azzardati a chiedermi di annullare le nozze, azzardati soltanto, Camelie, ed è la volta buona che tiro via il tuo nome dal testamento Lambert. Sono stufo dei tuoi capricci» l'uomo pronunciò quelle parole lapidarie con un'indifferenza glaciale.

Camelie tentò di non farsi prendere dal panico. Arrotolando una mollica di pane tra le dita sottili, decise di giocarsi l'asso nella manica: condivise con crudezza i dettagli dell'aggressione che aveva subito, e il successivo sconcerto nello scoprire che tutto era frutto di uno scherzo crudele di Kennedy. Il suo fidanzato non si era fatto scrupoli a darla in pasto a uno dei suoi amici.

Mentre si riempiva il piatto di formaggi e salumi, alzando il volume del notiziario, Antoine la guardò come se fosse una mosca fastidiosa, peggio: come se fosse uno dei suoi schiavi malati. Storse poi la bocca, impiegando un tempo esageratamente lungo a mescolare il cibo con il tabacco commestibile da cui era dipendente.

«E questo sarebbe l'uomo che sognavi di sposare? Il grande amore per cui mi hai assillato per mesi? Beh, complimenti per la tua più completa incapacità di giudicare il prossimo!» sbottò l'uomo infine. «Non penserai davvero che creda tanto facilmente alla tua storiella. Un tentativo di violenza dentro le mura della New Hope Academy? Ridicolo. Ti sei forse ispirata alla notizia sulle aggressioni nel ghetto che davano poco fa?»

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