9. Tarocchi propizi (I)

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«Però hai scelto di avventurarti, da sola, nel quartiere più pericoloso di tutta la provincia» ribatté pensieroso Ozzie. Non si trattava di una domanda, ma di una considerazione. Il tono del ventriloquo assunse un'inflessione dura; c'era un'accusa velata nei suoi furbi occhi a mandorla e Camelie si ritrovò sulla difensiva.

«Non la definirei una scelta» si lamentò la ragazza, cercando titubante lo sguardo amichevole di Xavi.

Un ghigno canzonatorio si aprì sul volto di Ozzie, mentre una risata gutturale esplodeva nel suo stomaco.
«Non sarai mica scappata di casa?» la punzecchiò ancora il leader del circo.

Camelie affondò gli incisivi nel labbro inferiore, assumendo un cipiglio costruito. Un silenzio tenace le sembrava il modo giusto per far capire a Ozzie che non aveva la minima intenzione di raccontar loro gli affari suoi.

L'uomo non pareva però intenzionato ad arrendersi. «Venice» riprese bonariamente. «Venice» rimarcò. «Che scelta peculiare chiamarti Venice, poi» osservò, spaparanzandosi nuovamente sul divano. «Faresti mai entrare in casa tua qualcuno di cui non sai nulla?»

«Non capita tutti i giorni che una ragazza borghese, una figlia albina delle piantagioni, decida di rimanere nel ghetto» intervenne Xavi per convincerla ad aprirsi.

«Ma io non ho mai detto di voler rimanere qui».

«Non hai neanche mai detto di volertene andare. Mi aspettavo che avresti cominciato a scalpitare per tornare a casa appena sveglia. E invece sei ancora qui, no?» Le rivolse uno sguardo talmente penetrante che Camelie percepì le guance diafane imporporarsi.

«Venice, bambina, non ti sto chiedendo di raccontarci la tua vita per filo e per segno, ma ho bisogno di una ragione valida per darti ospitalità» tentò di rassicurarla Ozzie. «Perché ti sei allontanata dai quartieri altolocati della città?»

«Perché non vuoi tornare a casa?» insistette Xavi, appoggiando uno stivale chiodato sul tavolino addossato al malconcio divano.

«I miei genitori vogliono obbligarmi a sposare...»

Uno sbuffo, una risata soffocata maldestramente, interruppe il racconto di Camelie. Ozzie si scusò agitando la mano in aria. «Perdonami, bambina. Perdonami».

Non c'era alcun rimorso nella sua voce, sono un'ilarità malcelata. Anche sul bel volto di Xavi si era dipinta una smorfia critica e così Camelie cercò il consenso dei due nell'unico modo che le venne in mente: condì la vicenda in modo da tenere nascosta la sua responsabilità nell'accordo matrimoniale con gli Holsen.

«Ha il doppio dei miei anni. Ha il doppio dei miei anni e mi guarda come se fossi un giocattolo» mentì la ragazza sfacciatamente.

La bugia andò immediatamente a segno. Entrambi scossero il capo e Xavi le rivolse un'occhiata comprensiva.

Ozzie era stato chiaro: aveva bisogno di capire se Camelie avesse un motivo valido per cercare asilo. E una ribellione adolescenziale era una giustificazione più che sensata.

«Dietro c'è una fusione di patrimoni tra famiglie, scommetto» valutò Xavi. «Il ceto borghese non pensa ad altro che ad arricchirsi».

La ragazza non se la sentì di smentire quello che era tutt'altro che un pregiudizio. I suoi genitori, così come tutti i proprietari terrieri di Nilemouth, era ossessionati dai guadagni delle loro terre.

«Venice» disse ancora il ventriloquo attraverso le labbra serrate. Il modo in cui Ozzie pronunciava il suo nome, soffiandolo attraverso i denti cariati, lasciava intuire che avesse già tratto le proprie conclusioni sulla nuova arrivata. «Cattivo auspicio o scaramanzia?»

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