53- In sella

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«Buongiorno capitano, l'ispezione è terminata e gli uomini sono schierati.»

Jonathan stava sull'attenti davanti al suo superiore mentre questi finiva di vestirsi nella sua tenda. Sabrina lo stava aiutando a infilarsi la giacca e quando la guardò, ricambiò lo sguardo con freddezza. Sembrava contrariata.

«Bene, tenente, dia ordine di sellare i cavalli. Ci mettiamo in marcia» pronunciò esaminandosi la barba in un piccolo specchio.

Jonathan eseguì il saluto militare prima di lasciare la tenda, gettando un'ultima occhiata alla sorella che invece lo ignorò con decisione.

Che aveva quella mattina? Le era andata di traverso la colazione?

Scuotendo la testa per accantonare il problema riferì gli ordini a Robert e si diede da fare. Poco dopo erano pronti a mettersi in marcia.

Fu una lunga giornata a cavallo, come ce ne sarebbero state molte altre in quel periodo, e arrivarono sfiniti ad accamparsi per la notte.

Gli uomini si lasciarono cadere dalla sella, pronti ad addormentarsi direttamente sotto gli zoccoli dei loro animali se non ci fosse stato un minimo di ordine dettato dagli ufficiali.

Anche Sabrina era al limite delle forze e si trascinò in un angolo insieme ad altri soldati che armeggiavano per accendere un fuoco e cucinare qualche provvista. Era abituata a cavalcare, ma rimanere in sella tutte quelle ore si era rivelato davvero sfiancante.

Notò i suoi fratelli che stavano compiendo un rapido giro d'ispezione per accertarsi che tutto fosse a posto e fissò lo sguardo sulla sua tazza di latta. Non aveva nessuna voglia di incontrarli.

«Hai visto Sabrina?» sussurrò Robert al fratello non appena furono in disparte.

«Sì, l'ho vista» rispose asciutto Jonathan.

«Non ti è parsa strana?» lo incalzò.

«Quella è sempre strana... Quando mai abbiamo capito cosa le passava per la testa?» sospirò, non aveva voglia di mettersi a discutere dell'argomento: era stanco, voleva solo dormire.

«Dovremmo parlarle» chiosò deciso.

Jonathan prese a massaggiarsi la fronte.

«Ma perché? Non possiamo lasciarla nel suo brodo ogni tanto?» sbottò.

«No... Lo sai anche tu che quando rimugina per conto suo prima o dopo combina qualche guaio.»

«Va bene, va bene! Hai vinto...» sbuffò alzando le mani in segno di resa. Non bastava che ci fosse una guerra in corso: dovevano pure caricarsi le angosce della sorella in ogni momento. «Vai a chiamarla, vi aspetto qui e intanto preparo un po' di caffè.»

Robert tornò poco dopo. La ragazza guardava a terra e sembrava scostante.

«Vuoi del caffè?» chiese il maggiore e lei scosse la testa guardandosi i piedi, poi alzò lo sguardo e lo posò di lato, lontano dai due.

«Va bene, niente convenevoli, allora... Cosa c'è che non va?» la interrogò, già stanco.

«Niente» rispose senza guardarli.

«Già... proprio niente» pronunciò contrariato, poi sospirando si versò del caffè e prese a sorseggiarlo in silenzio, fissandola.

La sorella rimaneva zitta in piedi, spostava nervosamente il peso da un piede all'altro come se non vedesse l'ora di andarsene e il giovane si chiese se non sarebbe stato meglio lasciarla in pace.

«È per via dell'altro giorno? Sei ancora turbata per quanto è successo a Osceola?» provò Robert con tono dolce.

La ragazza strinse appena le labbra e continuò a tacere.

Polvere alla polvereWhere stories live. Discover now